Caccia alle balene, in nome della cultura

Caccia alle balene, in nome della cultura Con il consenso delle autorità i pellerossa Makah riprendono un'antica sanguinaria tradizione Caccia alle balene, in nome della cultura Non più di 5 cetacei l'anno, ma i verdi sono sul piede di guerra I LOS ANGELES Makah sono una piccola tribù indiana dello Stato di Washington sul Pacifico: 2300 persone in tutto, di cui 1400 vivono in una riserva concessa loro da un trattato del 1865. Un trattato capestro, come sempre erano quelli raggiunti tra bianchi e indiani: migliaia di acri di terra in cambio di un'esistenza grama in uno spazio «sicuro». In questo caso, per i Native Americans si era aggiunto un altro vantaggio: il permesso di continuare la caccia alle balene, una loro tradizione che risaliva a tempi immemorabili. Ma la concorrenza sull'oceano era spietata: canoe contro navi baleniere, lance contro cannoni. Agli indiani andava male, e andava anche peggio alle balene, che negli Anni 20 erano praticamente estinte. A questo punto i bianchi, noti per la loro compassione verso i vinti, ne proibirono la caccia; non molti anni prima avevano fatto lo stesso per la caccia agli indiani, dopo il massacro di sedici milioni di «pellerossa». In settant'anni le balene si sono riprese: oggi ce ne sono oltre 21 mila che fanno la spola tra l'Alaska e il Messico, costeggiando il Canada, il Washington State, l'Oregon e la California. Per gli indiani invece le cose non sono migliorate: ridotti a tagliare legna e a pescare salmoni sempre più scarsi, i Makah hanno perso il senso della loro identità. Hanno continuato a insegnare e praticare le antiche danze, canti e riti associati alla caccia, ma nessuno, per due generazioni, ha sperimentato di persona the redi thing. Una volta quelle pratiche servivano loro per purificare lo spirito e concentrarsi in vista di un compito importante; è difficile che abbiano la stessa funzione quando il compito non viene mai affrontato. Così le autorità hanno fatto un piccolo passo indietro, permettendo ai Makah di tornare a cacciare balene. In ottobre una flottiglia di canoe sarà lanciata nel Pacifico e riprenderà il proprio corso una tradizione millenaria. Sono stati imposti limiti precisi: non più di cinque balene l'anno e, per ragioni umanitarie, niente mattanza all'arma bianca. Gli indiani volevano finire la preda con gli arpioni, ma saranno invece costretti a usare fucili automatici. Ce n'è abbastanza comunque per causare un cataclisma diplomatico: mentre gli indiani esultano per l'opportunità loro concessa, i verdi progettano di intervenire con imbarcazioni, un elicottero e un sottomarino mascherato da orca che emetterà sott'acqua il rumore di un'orca per spaventare le balene e allontanarle. Con tutto questo dispiego di mezzi, gli animalisti progettano di mettersi in mezzo tra le canoe e le balene, e quantomeno fumare la morte di queste ultime per l'orrore di ogni anima bella; la guardia costiera è preoccupata invece per l'uso di armi ad alto potenziale fra tanta gente di opposte tendenze e ha ordinato loro di tenersi ad almeno 150 metri di distanza. Un aspetto di questa situazione induce più di ogni altro a riflettere. E' la prima volta in settant'anni che si è autorizzata mia caccia alle balene negli Stati Uniti «contigui» (cioè in 48 dei 50 Stati: tutti meno l'Alaska e le Hawaii) ed è anche la prima volta al mondo che una comunità indigena ha ricevuto mia simile autorizzazione per motivi culturali. In passato permessi del genere erano stati accordati per ragioni di sussistenza; qui invece lo scopo dichiarato è il rinascere della tradizione tribale. La prima cosa che viene in mente al riguardo è di carattere squallidamente opportunistico (ed è anche la cosa che preoccupa di più i verdi, che altrimenti, affermano, non si sarebbero mossi così in forze): se questo tipo di motivazione ha successo per i Makah, non passerà molto tempo prima che il Giappone e la Norvegia, l'Islanda e la Russia si facciano avanti per chiedere eccezioni al bando internazionale sulla caccia commerciale alle balene, promulgato nel 1987. Dopo tutto, diranno, uccidere migliaia di cetacei è un'abitudine radicata nella nostra tradizione. Ma c'è dell'altro. C'è quanto ci viene suggerito a proposito del concetto generale di cultura dallo spettacolo di mia cultura che non sa sopravvivere senza organizzarsi intorno a mi rituale di morte. E c'è quanto impariamo sulla cultura occidentale guardandola in azione mentre dirime con sapienti distinzioni legali la lotta all'ultimo sangue tra due popolazioni (le balene e gli indiani) che essa stessa ha così efficacemente sterminato. Ermanno Bencivenga Negli Stati Uniti cade un bando durato settant'anni Ora si teme che anche altri Paesi chiedano eccezioni al divieto

Persone citate: Ermanno Bencivenga