Paesaggi dell'assenza di Gianni Vattimo

Paesaggi dell'assenza Un ritorno alla figuratività che non è solo recupero del piacere dell'immagine Paesaggi dell'assenza ION le avanguardie novecentesche, ogni senso I ' della raffiguratività dell'arte sembra andato I definitivamente perduto: non solo hanno preI i so congedo dalla rappresentazione del visibile \à I nel suo aspetto quotidiano (lasciato alla fotografia o all'arte accademica, convenzionale, reazionaria...); ma anche dal mandato etico-sociale, almeno in quanto la rivoluzione dei linguaggi artistici che l'avanguardia promuoveva la rendeva (e la rende ancora in molti casi) difficilmente accessibile al pubblico vasto, nei confronti del quale essa esercita al massimo quella funzione utopico-negativa che un teorico come Adorno considera essenziale. Molto oltre questa funzione di evocazione catastrofica, o dialettica, di una autenticità che si riconosce drammaticamente come negata, anche l'arte più recente non è tanto spesso andata, se si eccettuano forse certi versanti più esplicitamente «impegnati» (e forse condannati alla banalità retorica, al tono edificante, alla generica protesta sociale) del neoespressionismo. Molta transavanguardia è passata direttamente dalla autoriflessività analitica a un esplicito e franco decorativismo. Come se si trattasse solo di ritrovare l'immagine «realistica» dopo un black out tutto sommato immotivato e da dimenticare. Ma l'oltrepassamento della non rappresentatività dell'avanguardia non può essere solo un recupero del piacere per l'immagine, il colore, la forma visibile. In Claudio Parmiggiani, l'oltrepassamento non puramente restaurativo della non figuratività dell'avanguardia si concreta come una esplicita poetica dell'assenza, enunciata in un lavoro programmatico come la Delocazione, la grande opera del 1970 realizzata con fuoco, polvere e fumo; e esplicitata in forme nuove nella Iconostasi (1988-89), un termine che forse non a caso fa anche da titolo generale al finora più completo catalogo dell'opera dell'artista. La poetica dell'assenza è anche quella che ispira, emblematicamente, la grande opera «Terra» del 1988: una sfera di terra di 75 centimetri di diametro, con impronte di mani, destinata a essere seppellita dentro la terra e non più guardata da nessuno (si trova effettivamente sepolta nel chiostro del Museo di Belle Arti di Lione), di cui resta testimonianza solo nelle fotografie dell'evento. Le altre opere di Parmiggiani, prima e dopo questa emblematica «sepoltura», sono tutte una ricerca di modi di seppellimento, di tecniche di cancellazione. L'assenza è anche, e anzitutto, ciò che «si» produce con il passare del tempo. Dunque la dimensione della temporalità come modo di scoprire un essere più vero, perché meno imponente, di quello che si dà nella presenza piena, è uno dei fili conduttori dell'opera di Parmiggiani: le farfalle puntate sono forse l'emblema più eloquente di questa visione del tempo come ciò che «riduce» l'ente a traccia e, proprio per questo, a essenza-assenza. (...) Non c'è bisogno di cercare paralleli espliciti tra questa poetica della riduzione, dell'essenza-assenza, e quello che, con una espressione hegeliana, si può chiamare lo spirito del tempo. Certo. La società dei consumi è una società sovraccarica di «essere», di presenze perentorie (la pubblicità parla di sempre più cose che sono dei «must», delle quali cioè non si può fare a meno...); a non voler essere troppo pessi¬ misti, si può pensare che la frenesia del consumo sia anche un modo di «liquidare» gli oggetti, di liberarsene attraverso un uso usurante e dispersivo. Sia comunque che si voglia redimere anche il consumo come una forma di liberazione attraverso l'inflazione, sia che si preferisca considerarlo un nemico cui opporre una riduzione più ascetica e radicale, si può forse concordare sul fatto che ciò che ci opprime oggi e da cui vogliamo emanciparci è per l'appunto la presenza; nichilismo non è la dissoluzione e la scomparsa dell'essere, è invece la presa di coscienza che di essere - presenza, oggettività, informazione, realtà - ce n'è (fin) troppo. L'arte con cui riusciamo a dialogare è quella che ci presenta il mondo, certo, ma ci aiuta anche a coglierlo nella sua verità come contrazione, riduzione, sublimazione. Concludendo una tarda conferenza su «L'arte e lo spazio», Heidegger citava una frase di Goethe che rende bene anche la condizione di cui e in cui ci parla l'opera di Parmiggiani: «Non è sempre necessario che il vero prenda corpo; è già sufficiente che aleggi nei dintorni come spirito e provochi una sorta di accordo come quando il suono delle campane si distende amico nell'atmosfera apportatore di pace». Gianni Vattimo

Persone citate: Adorno, Claudio Parmiggiani, Goethe, Heidegger, Parmiggiani