Padre Pio, una fila di lacrime

Padre Pio, una fila di lacrime Questa sera a San Giovanni Rotondo la funzione per i trent'anni dalla morte del frate cappuccino Padre Pio, una fila di lacrime Tra i pellegrini che si preparano alla veglia IL POPOLO E E MIRACOLI SAN GIOVANNI ROTONDO DAL NOSTRO INVIATO Per rispetto del lettore, preventivamente confesso: nulla o pochissimo so di Padre Pio, tranne che avesse una barba puntuta, occhi di fuoco, una voce maestosa e dialettale e che il Sant'Uffizio di lui dubitasse e che ora è venerato ovunque e che sto salendo su questi cinque tornanti che portano al santuario, che le macchine mi accecano con i fari, la pianura sottostante ò bruciata, le macchine sono in carovana e che lo spettacolo degli ulivi e della terra, della collina e dell'asprezza è come Gerusalemme. Soltanto a Gerusalemme ho visto questa aridità feconda e salgo, e le macchine sono stranamente pigre e s'incolonnano e scendono a piedi pellegrini in colonna anche loro, benché oggi sia giorno d'attesa essendo domani la grande giornata di venerazione e veglia. Uscire da Foggia è stata un'impresa da labirinto, arrivare fin qui una elevazione da terra in senso proprio e mi domando, guidando tornante dopo tornante, che cosa vedrò, che cosa mi sembrerà, quali idee e sensazioni verranno dal culto da questo frate che mi ha sempre colpito, e anche un po' intimidito e anche un po' spaventato, dalie immagini nelle mani dei devoti. E soltanto all'ultimo tornante mi viene in mente fra Cristoforo, quell'uomo energico e quasi violento che nel capitolo quarto dei «Promessi Sposi» sguaina la spada e - «coi vostri pari la destra è sempre mia» - incrocia i ferri e versa il sangue che lo porta al chiostro. Cristoforo era come Padre Pio un prete maschio, un uomo che si è andato santificando a spallate e che sembra uno stilita, un monaco di malumore, e dunque più facilmente un santo, uno che non si sdilinquisce, non miagola e non prega col collo torto ma che in un certo senso fa il sindacalista delle plebi presso la maestà di Dio e beneficia di un potere di profezia rustico, una capacità di stare in sintonia con il tutto e con l'uno, e salendo supero l'ultimo tornante e vedo sulla montagna questi edifici cresciuti sulla santità del frate e che sono, sia detto in tutta umiltà e in fraterna franchezza, degli obbrobri architettonici, bruttissimi, delle devastazioni del buon gusto e del paesaggio. Ma penso anche che la santità popolare non ha troppa sensibilità per queste cose e infatti quando vedrò la chiesina antica, quella del 1500, la troverò tutta tirata a lucido e peggio ancora ridipinta, stuccata come una cappella di paese, perché anche li la santità è arrivata come una mano di pittura strapaesana, visto che Padre Pio era un santo delle plebi, dei semplici, dei campagnoli, di quelli che lavorano e che odorano volentieri di cipolla e hanno le mani in- callite e annerite e le donne, già le vedo sulla soglia della chiesa, piangono, si stringono, si lamentano, si accalcano. Che cosa succede? Sento degli applausi su un sagrato che oltre l'ora del vespro è bruno e azzurrino, con la gente che tracima come da un pozzo e si sparge sulla piazza ed altra che entra e qualcosa di rosso, e gente di nuovo che applaude, e quel qualcosa di rosso è preceduto da qualcosa di bianco, e il bianco sono dei monaci in abiti candidi che portano in alto il Santissimo e dietro di loro con barbe fratesche avanza un gruppo di tonache color gambero e in mezzo a loro un cappello da vescovo, una faccia da vescovo che passa benedicente verso la folla che sta sulla soglia e ha freddo, perché è arrivata una tramontana gelida. Mi faccio largo ed entro, il vescovo tocca le mani e le stringe, non so chi tu sia bravo vescovo, ma hai una faccia sorridente e una barba in mezzo a quella dei tuoi frati che ti stringono e ti accompagnano. £ lui stringe le mani e stringe pure la mia dopo essere passato avanti e poi un passetto indietro e la piccola processione sparisce dietro una navata, si apre un cancello e il vescovo scompare con i suoi frati, uno dei quali impugna bravamente una telecamera Sony e tutti si accalcano, le donne piangono e nessuno sa che cosa ci sia da piangere. Ma qui si piange e ci si stringe, anzi, ci si stritola, perché la folla dei luoghi santi è umorale: perde la ragione, arretra, avanza, non si sa che cosa e chi voglia vedere e dove vada. E vedo le vecchie donne che spiano negli occhi dei giovani per esaminarli e vedere se sono lì per curiosità peccatrice o perché devoti. Dall'altro lato della piazza la tomba monumentale del frate santificato. Orrenda, un'ingiuria architettonica, una specie di scalinata, di grande spazio vuoto e circolare che dovrebbe trasmettere simboli a tutto spiano e che invede dà un'idea infelice di buio e di largo e di tondo e di nulla, ma fa bene la sua parte e tanto basta, come l'edificio dell'ospedale che sovrasta la collina ed è di pietra chiara, di una monumentalità alquanto galattica o da falansterio assiro, o da grande ospedale pugliese in nome e per conto di Padre Pio, dove portare la speranza insieme ai corpi sofferenti di chi soffre, e difatti in chiesa c'è una barella bianca e fa impressione perché quella barella ti dà il senso della sofferenza e del dolore: non si va dai santi se non in nome della sofferenza e del dolore. Non si va a portare la propria anima e il corpo a strisciare, comprimersi, patire il freddo e il vento, se non in nome del dolore. Il vento si è alzato ed è veloce, gelido, curvo, quel vento curvo e sghembo che alza le vesti e le tonache, fa bruciare le lacrime negli occhi e in lontananza fanno fuochi artificiali, c'è clima di festa, di popolo e di metafisica di campana, preghiere e donne che salgono e che scendono passando davanti a bancarelle piene di presepi. Presepi di cianfrusaglie e devozioni, santini e Padre Pio che a testa in giù viene la neve, collanine che s'illuminano nella notte e oggetti votivi, oggetti di piccolo culto antico che derivano certamente dai culti delle campagne, dai greci e dai bizantini, certamente anche da antiche tradizioni e devozioni pagane ovvero cristiane, ovvero umane fatte di offerte e sacrificio e anche di piccoli affari, gli uomini che spostano le panche, i poliziotti col naso gelato, le transenne di pesante lega di metallo, le bambine che giocano e che corrono fingendosi compunte. Le madri che gridano, i padri che sembrano a disagio e alcuni fumano, alcuni trotterellano e il cielo sempre più nero che cala su questo luogo dove stasera si terrà la grande veglia per i trent'anni della morte e delle stimmate e delle profezie e dei miracoli, e il ricordo della voce bur- bera e forte, la voce che senza barba non sarebbe mai uscita da quella bocca, attizzata da quegli occhi e con quell'apparato di santità che aveva addosso questa creatura umana e che ha lasciato di sé un tale denso, corposo, mi sterioso ricordo. No, lo confesso al lettore affinché non si senta ingannato, npn posso vantarmi di essere un devoto, né uno scettico, né nulla Sono qui e per fortuna ho portato un maglione di lana, vedo questo popolo che si forma e sciama nel buio e avanza e retrocede e qualcuno canta, qualcuno ride e molti piangono e piangono certuni di quel pianto un po' gioioso e un po' comico, voglio dire tenero, che hanno spesso gli esaltati buoni, quelli che hanno leggermente per so il lumicino della ragione e si accendono nel buio della notte come se fossero di fosforo, e vedi questi lunghi fazzoletti sulla testa, que ste mani diafane e nodose di esseri umani che hanno vissuto e hanno conosciuto la sofferenza e che salgono a nome dell'umanità piccola, anonima, minima, senza nu mero con una voce comune ( uguale, antica e mistica, una voce di cui quella del frate era la voce pastora, la voce di fraterna inti midazione e spargimento del bene come frutto della natura divina che è ovunque e comunque. Che vale per ogni creatura e che la collega a tutte le altre. Tutto è pronto, la barelle e le toilette chimiche, i passaggi per incolonnare e i ristori per nutrire e abbeverare, gli enormi spazi per questi pullman quadrati di nuovo stile a tutta finestra, che salgono e si fermano uno accanto all'altro. Le macchine tornano giù lente, le donne piccole trottano accanto ad omoni miti e silenziosi, i bambini respirano l'aria d'incenso e provano sensazioni che un giorno ricorderanno come il fardello della memoria. Paolo Guzzanti Bancarelle piene di presepi, santini Madri che gridano, profumo di incenso Applausi all'ora del vespro Il vescovo che tocca le mani dei fedeli LA VITA ■ Padre Pio, al secolo Francesco Forgione, nasce a Pietrelcina, un piccolo Comune del Sannio, il 25 maggio 1887. Il 22 gennaio 1903 veste il saio. Viene ordinato il 10 agosto 1910. Il 13 novembre del 1917 arriva a San Giovanni Rotondo. LE STIMMATE ■ Il 20 settembre 1918, un venerdì, dopo la messa, Padre Pio resta nel coro a pregare e viene colto da una sensazione di pace celestiale. Improvvisamente gli appare «un personaggio... che aveva le mani e i piedi e il costato che grondavano sangue. La sua vista mi atterrisce». Il religioso sviene e quando torna in sé si accorge che mani, piedi e costato grondano sangue. LA FAMA ■ Da quel momento la persona di Padre Pio chiama a raccolta migliaia di fedeli. Iniziano le ispezioni, si moltiplicano i miracoli e le polemiche. Padre Pio muore lunedi 23 settembre 1968, alle 2,31 del mattino. IL PAPA ■ «La grande intuizione di Padre Pio è stata quella di unire la scienza a servizio degli ammalati insieme con la fede e la preghiera. Padre Pio ci insegna che la cura del corpo va accompagnata da un'educazione all'amore intesa come cristiana accettazione del dolore». LA LETTERA ■ Nove giorni dopo aver ricevuto le stimmate, Padre Pio scrive ad Esterina Merla, una delle sue figlie spirituali, nipote di Angelo Merla, sindaco di San Giovanni Rotondo. «Mille morti le più atroci - scrive - ben poca cosa costituirebbero di fronte a questa croce inviatami da Dio e che mi accompagnerà sino al termine del mio viaggio. Ma fiat voluntas Dei semper». (-orliti Folla in preghiera nella grotta di Monte Sant'Angelo a San Giovanni Rotondo A lato, Padre Pio il frate era nato a Pietrelcina nel Beneventano il 25 maggio del 1887