Bertinotti, il re di un partito spaccato di Antonella Rampino

Bertinotti, il re di un partito spaccato Alla direzione prc non passa la mozione che voleva eliminare dal documento l'attacco al presidente Bertinotti, il re di un partito spaccato Cossutta e dieci fedelissimi se ne vanno senza votare ROMA. Bertinotti ha vinto, per la prima volta Rifondazione si conta e si spacca davvero: i numeri emersi dalla riunione della direzione nazionale di ieri sono chiari, anche se contano meno di quello che è andato in scena in otto ore filate di vero e proprio psicodramma politico. Bertinotti, la cui vittoria in direzione era scontata, aumenta, da 27-28 che erano, fino a 30 i propri seguaci. «Anche il compagno Guerrini, che era cossuttiano, ha votato con noi» esulta Rina Gagliardi, fedelissima bertinottiana da sempre. Ma il compagno Guerrini aveva inutilmente tentato, con presentazione di apposita mozione, di «cancellare l'attacco al presidente», cioè a Cossutta. Perché nella parte finale del documento passato a così larga maggioranza, si accusano «compagni autorevoli» di «proposte inopportune», tali da aver indebolito la linea politica del segretario. Un bel gesto, ma inutile: in 28 su 45 hanno votato perché quell'attacco restasse. Il partito si è affacciato davvero alla soglia della rottura: Cossutta e dieci membri della direzione nazionale hanno rigettato duramente il documento di Bertinotti, non hanno votato né positivamente né negativamente. E non si sono nemmeno astenuti, secondo l'indicazione dello stesso presidente: semplicemente, e significativamente, si sono alzati e se ne sono andati. Con loro, anche la vicepresidente del Senato Ersilia Salvato, che ha fatto un duro intervento contro la mancanza di democrazia nel partito. Inutilmente, i cossuttiani hanno tentato, attraverso una mozione presentata dal potente segretario regionale della Toscana, Luciano Ghelli, il richiamo all'unità del partito: respinto anche quello, 35 a 11. «E' la prima volta che non partecipo a un voto, nella mia lunga vita» ha scandito Cossutta all'uscita dalla riunione: «Trovo sconcertante che sia stato respinto dalla maggioranza, a partire dallo stesso segretario, la richiesta di puntare ad ottenere la sintesi nella vita del nostro partito». Ma, al di là della reciproca prova di forza è emersa con estrema chiarezza che le divergenze sono ormai profonde, politiche e strategiche: se saranno o meno sanabili, come hanno detto sia il segretario che il presidente, lo si vedrà nel comitato politico del 3 e 4 ottobre. Nei suoi due lunghi interventi Fausto Bertinotti ha spostato l'asse del dibattito politico sulla critica al governo Prodi. Il governo, ha detto in sostanza, è ormai di destra, pienamente neoliberista, e noi non possiamo più starci: «Con la crisi delle relazioni tra le diverse economie e la recessione alle porte, il governo propone semplicemente di correggere e temperare introducendo solo un'idea di programmazione e patto sociale che ha al centro non il lavoro, ma il mercato, e perseguendo la concertazione come strumento che sosti- tuisce nella società il Parlamento e il conflitto sociale». Un governo, dice Bertinotti, che comprende le ragioni e la necessità della svolta, ma che dice a Rifondazione, in nome della compatibilità economica, che essa non è attuabile. Un governo «che ci propone elemosine, e non riforme». Quali siano, Bertinotti le ha chiarite nell'intervento conclusivo: «Occorerebbero 500 mila assunzioni, e Prodi ne mette sul tavolo 150mila, servirebbero almeno tremila miliardi, e ce ne sono solo trecento». Soprattutto, aggiunge, «si tratta di finanziamenti alle imprese e non al lavoro, e invece occorre che quei finanziamenti siano finalizzati». Poi il segretario aggiunge che «se Rifondazione non rompesse, stante questa situazione, entrerebbe in un processo di politiche moderate, sarebbe spogliata e massacrata». Molto diversa l'analisi di Armando Cossutta, che vede tutti i limiti del governo Prodi, «sordo e arrogante rispetto alle reali esigenze del Paese». Ma il presidente teme che rompere con la maggioranza significherebbe lasciare alle destre, «ed è pericoloso per la democrazia», la possibilità di intercettare il disagio sociale crescente. Cossutta ha invitato Bertinotti a continuare a spingere il governo verso la «svolta», ma ha ammonito che essa non si ottiene tutta e subito, bensì facendo un passo per volta. E, soprattutto, che occorre tenere presente sempre, e bene, il quadro politico, «che è cosa ben diversa da una trattativa sindacale». Un affondo che è proseguito prospettando il rischio, se si provoca una crisi di governo, di «un'impasse nella democrazia, che mi permetto di segnalare a Scalfaro in nome di un'antica consuetudine da parte mia per quel che riguarda i rapporti istituzionali». Antonella Rampino Respinto l'appello all'unità presentato dalla minoranza Salvato: non c'è più democrazia Fausto Bertinotti e Armando Cossutta fianco a fianco al tavolo della direzione di Rifondazione comunista che ieri ha sancito la spaccatura del partito A sinistra il Presidente Scalfaro

Luoghi citati: Roma, Toscana