Vietato ai minori all'ora della merenda di Filippo Ceccarelli
Vietato ai minori all'ora della merenda Vietato ai minori all'ora della merenda Diretta sotto accusa: troppo hard per quegli orari OUANDO si sa che di norma, a quell'ora, gli «adulti» lavorano e i bambini fanno di tutto per sentirsi «adulti». Ma tant'è. Forse non c'erano solo i bambini da difendere dalla diretta, o comunque da una decisione presa un po' troppo alla leggera dai signori delle tv per non darsi un bidone l'un l'altro, confezionando, come accade in questi casi, un prodotto perfettamente identico - a parte le buffe voci italiane dei tre Clinton (uno metallico e mite, uno rauco e molto italo-americano, il terzo assai deciso, ma incongruamente femminile). Protestano i vescovi, adesso, le associazioni dei consumatori, un certo numero di politici. Tra i soggetti da tutelare, ad esempio, ci sono anche loro. La diretta mette in crisi la (comoda) fiducia in un'Italia «diversa», più civile e capace di distinguere tra sfera pubblica e privata. Da oggi, invece, i potenti nostrani hanno un nuovo incubo, sotto forma di «speciale Tg» o «Tg dossier». Potranno curarsi l'insonnia riflettendo un pochino sul valore che loro per primi assegnano al mezzo televisivo. Oliviero Toscani, intanto, ha dichiarato la propria gioia per aver schivato il video. Il cardinal Ratzinger ha posto sul banco degli accusati una società che ha il gusto del morboso. L'avvocato Marazzita - che a un certo punto è anche comparso, senz'audio, a Tappeto volante in una pausa dell'interrogatorio - ha avuto parole tecnicamente severe per la conduzione della difesa clintoniana. A parte Rispoli, elegante nella sua impassibilità, le conduttrici e commentatrici, smaccatamente solidali con il Presidente sporcaccione, apparivano piuttosto agitate e fuori posto. Gli interpreti hanno fatto quello che era possibile - a parte un frammento in cui non si capiva bene chi avesse baciato «i pettorali» a chi. Ma per il resto c'era poco da ridere. E non solo perché l'interruzione della routine televisiva turba di per sé i telespettatori, li carica di ansia, li costringe a sentirsi guardoni, a partecipare a vicende che non si meritano, a provare anche pena, talvolta, così dissipando i propri sentimenti. A parte le porcherie, peral¬ tro saldamente e graziosamente agganciate agli indici della Borsa, l'ipnosi malefica del video clintoniano stava nella sua noia ripetitiva e nel suo realismo a base di goccioline di sudore, smorfie estenuanti, vane occhiate seduttive, occhialini volanti. Stava nell'insistenza delle domande e nell'ormai logorata perizia comunicativa delle risposte e delle più indecorose non-risposte. Stava nella fissità dei fiori, delle mani incrociate, delle tende, della cravatta in tono, della porta chiusa. Ma più di tutto stava nella posta in gioco, che va oltre all'avventuroso erotismo di Monica e alle bugie presidenziali. Proprio perché si tratta di un documento eccezionale - nella sua più terrificante valenza pedagogica - il video di Clinton non andava «buttato» in onda a quell'ora e in quel modo. Non dovevano sprecar- lo, banalizzarlo, interromperlo per il primo Fiorello che bussa alla porta del palinsesto con Superbowl, «un programma che ci porta sempre in un clima americano - come l'ha presentato uno dei conduttori - ma di tutt'altro tenore...». Per quanto spaventosa da vedersi, la distruzione dell'immagine di Clinton, l'uccisione simbolica dell'imperatore, questa specie di cerimonia di purificazione interrotta dagli spot, è qualcosa che si ha il diritto e il dovere di provare a spiegare, meglio se con calma e pazienza. Anche un bambino, al dunque, può capire che in un tempo nel quale non si tagliano più le teste, capita che il sovrano sia spogliato dalle insegne dell'autorità. Non solo, ma che questa operazione avviene necessariamente in pubblico, e prendendo a pretesto un'energia spesso incontrollabile e in ogni caso misteriosa, vitale e primordiale come il sesso. Sarebbe bello, insomma, che per una volta la televisione tentasse di spiegare se stessa liberandosi dalla schiavitù della concorrenza e dalla tirannia dell'audience. Sarebbe bello che aiutasse a ragionare non solo dopo, quando tutti protestano, ma durante un evento che da qualsiasi parte e con qualsiasi telecamera si voglia inquadrare raffigura l'eterna provvisorietà del potere. Filippo Ceccarelli
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