All'Onu applauso di consolazione

All'Onu applauso di consolazione All'Onu applauso di consolazione L'imbarazzante intervento durante la «diretta» NEW YORK NOSTRO SERVIZIO Forse ha pensato che in fondo gli converrebbe essere cittadino del mondo, o forse si sarà ritrovato a fare paragoni fra l'amica New York e l'infida Washington: certo è che ieri, quando Bill Clinton si è presentato davanti all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è stato accolto da un'ovazione di cui ultimamente aveva dimenticato il calore. Tutta l'Assemblea in piedi, un applauso prolungato molto più del nonnaie e decisamente «sentito», quasi a fargli dimenticare che in quel momento tutte le emittenti televisive americane stavano snobbando la sua presenza li, impegnate com'erano a trasmettere la sua deposizione di un mese fa sulla faccenda Monica Lewinsky. Ma il calore compensativo di quell'applauso non ha cancellato, ovviamente, la delicatezza dei tre punti su cui tutti volevano sentire cosa Clinton avesse da dire, e cioè la crisi finanziaria intemazionale, il problema del terrorismo e la questione del debito americano nei confronti delle Nazioni Unite. Sul primo il Presidente era reduce dalla proposta da lui stesso avanzata che il Gruppo dei Sette si «facesse carico» in modo coordinato della crisi, e in pratica l'ha semplicemente ripetuta, seppure con un'enfasi adatta all'occasione. «Le Nazioni sviluppate hanno il dovere di aiutare le Nazioni in via di svilupo a restare nel sentiero della prosperità», non solo per una questione morale ma anche perché ciò che è in pericolo, oltre al benessere o addirittura alla sopravvivenza di milioni di persone, è la democrazia. La crisi economica globale, ha detto, «minaccia la fiducia nella democrazia. Quelli fra noi che da questa economia traggono i maggiori vantaggi hanno la speciale responsabilità di fare tutto il possibile per ridurre i problemi ed estendere a tutti i cittadini i benefici del mercato globale. Gli Stati Uniti sono determinati a farlo». Parole, naturalmente, ma Clinton prevede di lavorare molto su questo punto negli incontri bilaterali che avrà con vari primi ministri presenti anche loro all'Assemblea. Anche sul probema del terrorismo Clinton era reduce da qualcosa di «pesante» come la decisione di bombardare in agosto i santuari di cui godono gli uomini di Osama bin Laden in Afghanistan, nonché dello stabilimento farmaceutico in Sudan. Su quest'ultimo punto stanno emergendo sempre più dubbi (proprio ieri il «New York Times» riportava i risultati di una sua inchiesta, dai quali si evince che la decisione di bombardare fu presa più sulla base di «supposizioni» che sulla base di informazioni concrete) e c'è sempre pendente la richiesta del Sudan di nominare una commissione internazionale per verificare se davvero in quello stabilimento si costruivano armi biologiche come sostengono gli americani. Punto estremamente delicato, dunque, ma Clinton non lo ha toccato, preferendo riferirsi al terrorismo come a un problema «non solo americano ma di tutto il mondo civile» e proponendo più collaborazione internazionale, a partire da una esemplificazione delle procedure di estradizione in modo da combattere meglio contro questo nemico «che non ha patria». Anche qui soprattutto parole, ma con la possibilità di qualche iniziativa diplomatica, vista la presenza a New York, per esempio, di Khatami, il presidente iraniano, col quale si stava «studiando la possibilità», dicevano fonti americane, se non di un incontro fra lui e Clinton almeno di uno scambio di messaggi. Il nuovo accenno del Presidente alla «distinzione» fra terrorismo e Islam, potrebbe aiutare. Quanto al miliardo e mezzo di dollari che gli Stati Uniti devono all'Onu, qui l'imbarazzo di Clinton era decisamente alto, perché l'anno scorso aveva solennemente promesso di pagare, perché la faccenda è ormai arrivata al punto che se Washington non paga entro la fine di quest'anno perde il diritto di voto nell'Assemblea (e il segretario generale Kofi Annan lo aveva ricordato poco prima) e anche per la curiosa circostanza che a questo punto pare che i soldi ci siano. Proprio ieri, infatti, sempre sul «New York Times» c'era un'articolo di Jesse Helms, capo della commissione Esteri del Senato, il quale diceva che il braccio di ferro con Clinton su questo punto è finito, che il Senato ha già stanziato 819 milioni di dollari per pagare l'Onu e che se finora il pagamento non è stato fatto la colpa è del Presidente. Dalla disputa un po' ridicola che era, insomma, questo problema ora sembra essere diventato una specie di giallo. Franco Pantarelli Clinton parla di crisi finanziaria internazionale, terrorismo e debito americano verso le Nazioni Unite Allo studio, se non un incontro uno scambio di messaggi col leader iraniano Khatami, intervenuto ieri Clinton riceve gli applausi del Palazzo di Vetro A destra Madlaine Albright Nella pagina accanto uno schermo con il video in una strada di Hong Kong