Insurrezione di Tirana, scattano le manette di V. Tess.

Insurrezione di Tirana, scattano le manette In duemila ieri hanno reso omaggio alla tomba del democratico assassinato Hajdari Insurrezione di Tirana, scattano le manette Venti ordini di cattura, fermati per ora tre giornalisti TIRANA DAL NOSTRO INVIATO Sole, ultimi tepori, voglia di mare. E di repressione. Perché ora che gli europei hanno detto di aver capito che qui a Tirana c'è stato davvero un golpe, non si vuol perdere l'opportunità di saldare i conti, almeno con qualcuno. Per questo, ieri, la procura ha spiccato ordini di arresto a raffica e lascia capire che siamo soltanto all'inizio. Venti provvedimenti restrittivi, dunque, di cui soltanto tre eseguiti, a carico di giornalisti che si sarebbero lasciati coinvolgere dall'entusiasmo, chiamiamolo così, per il colpo di Stato. E si sarebbero esposti facendosi vedere con gli insor- ti, leggendo proclami, insomma gettando alle ortiche qualsiasi prudenza. Il primo a finire con le manette è stato Alfons Zeneli, di Radio Contact. Come per gli altri, anche per lui l'accusa è di aver partecipato all'insurrezione armata. Durante il giorno, poi, il numero delle persone inseguite dalla magistratura sembrava salito a trentotto. Conferme ufficiali non se ne sono avute. Procuratore generale Arben Rakipi, in quanti sono coinvolti? «Ma, vede, coinvolti non sono trentotto, potrebbero essere 380 o 3800: vedremo». Chi ha partecipato al golpe, o quello che è stato, non si tira indietro però, pentirsi, neppure parlarne. Di sicuro non lo farà Sali Berisha, che ha promesso manifestazioni quotidiane a oltranza almeno fino a quando Fatos Nano, il suo rivale, non abbandonerà il campo. Ma quella di ieri non è stata una manifestazione qualunque, quasi in 2 mila hanno reso omaggio alla tomba di Azem Hajdari, il notabile del partito democratico ammazzato per strada una settimana fa. Delitto politico, hanno tuonato subito i democratici; per una simile affermazione occorre prima indagare, hanno ribattuto i socialisti, appena imbarazzati per essere stati indicati fin dal primo momento come mandanti. E' un rompicapo tremendo, questa indagine, su questo non ci sono dubbi. Per il semplice fatto, dicono qui, che non esisteva un solo motivo per assassinare Hajdari: ce n'erano almeno un milione. E si ricorda come il notabile democratico, braccio armato del partito e grande organizzatore, fosse un sostenitore della lotta in Kosovo, ma anche il protagonista di mille affari opachi, un businessman e uomo politico, diciamo così, iperattivo. Per questo, ieri, davanti alla sua tomba è sfilato il lungo corteo. D'altra parte, i suoi compagni di partito avevano molto da farsi rimproverare, perché il giorno del funerale, per seguire la bara si erano mossi forse in 10 mila, ma al cimitero, laggiù a Kombinat, il decrepito quartiere industriale del periodo hoxhiano, sulla strada per Kavaja, erano arrivati in trenta: gli altri si erano perduti lungo le strade della «rivoluzione». C'è chi dice che il nome dell'assassino sia conosciuto dal primo momento, il Ppd lo ha denunciato senza incertezze: Jaho Salini Mulosmani, che non è un Signor nessuno, ma il capo della polizia criminale di Tropoje, città di Berisha. Sarebbe pure nipote del vecchio capo della polizia di Valona, un uomo di fiducia ai tempi di Berisha. Lui ha subito dichiarato che si sarebbe messo a disposizione della giustizia. Dell'inchiesta, però, non si sa più niente. I socialisti protestano, alzano la voce, perché questo sarebbe un loro uomo. Poi hanno messo una taglia di 100 mila dollari che ieri hanno raddoppiato. Sia come sia, i tre che componevano il commando sono introvabili, c'è chi dice che abbiano lasciato l'Albania e si trovino in Italia, a Milano, forse. [v. tess. ]

Persone citate: Alfons Zeneli, Arben Rakipi, Berisha, Fatos Nano, Hajdari, Hajdari Insurrezione, Jaho Salini Mulosmani, Sali Berisha

Luoghi citati: Albania, Italia, Kosovo, Milano, Tirana