L'infinita attesa del Grande Crollo

L'infinita attesa del Grande Crollo LA LOTTA PER IL CONSENSO L'infinita attesa del Grande Crollo E' l'ultima occasione per affondare il Presidente E NEW YORK il re (nudo) restò solo con il suo popolo. In quello che potrebbe essere il giorno decisivo di questa sporca guerra, Bill Clinton sa che il suo destino dipende dall'unico alleato che gli è rimasto accanto e l'ha sorretto finora, consentendogli di non crollare. Non se stesso, giacché dai propri errori ormai non sa più come proteggersi. Non la moglie Hillary, che da quando se n'è uscita con la teoria della «cospirazione contro l'Arkansas» ha dato segni di cedimento, non tanto nella lealtà al loro patto quanto, nell'efficacia dei suoi interventi. Non i suoi avvocati, che l'hanno mal consigliato dall'inizio, inducendolo a negare, ad appellarsi al cavillo giuridicolessicale, facendolo arrampicare su uno specchio dove, alla fine, non ha potuto guardare in faccia altro che laverità. Non il suo partito, che l'avrebbe scaricato da tempo, non fosse per l'imprevista solidarietà di quell'unico alleato forte: la gente. Strana, mirabile, turlupinata gente d'America, che continua a fare diga contro l'ondata di fango riversata da Kenneth Starr sul Presidente che ha eletto, sui televisori delle sue case, sugli schermi di computer dei suoi figli. Il destino della presidenza è nelle sue mani, poiché questa non è più una procedura che segue le norme costituzionali, con una richiesta di impeachment affidata al Congresso che valuta secondo gli elementi messi a sua disposizione. Tutto quanto è, invece, esposto al pubblico, cercando di ottenere da questo, attraverso i sondaggi, il via libera per la decapitazione del Presidente, già messo alla gogna. Finora, nulla è bastato per ottenere questo risultato. Lo sdegno per gli «atti impuri» di Clinton, la condanna della sua reticenza ad ammetterli, delle sue menzogne e del conseguente patetico rimorso non si è mai spinto al punto di travolgerne la valutazione come Presidente. Un attimo prima di condannarlo, la gente si è fermata e ha distinto: pollice verso per l'uomo, pollice alzato per il politico. Nonostante le pressioni dei mass media. Nonostante la faziosità dei sondaggi. Resisterà ancora? Anche oggi, dopo averlo visto imbarazzato e furente davanti al Gran Giurì, dopo avergli sentito dire che non faceva sesso, perché toccava Monica sopra i vestiti e aver letto nella deposizione di lei che, invece, infilava le mani sotto? Riuscirà la gente a dire, ancora una volta: «So, what?» e allora? è per questo che si deve dimettere un Presidente? Dicono che la diga stia crollando. Dicono che nell'ultimo sondaggio, effettuato alla vigilia del Video-Day, la richiesta di dimissioni sia passata dal 39 al 46%. Solo lo scrupolo di un commentatore della Cnn fa notare che la domanda esatta non era: «Secondo lei Clinton dovrebbe dimettersi?», ma «Secondo lei Clinton dovrebbe pensare a dimettersi?». E la differenza non è di poco conto. Così come è «non appropriato» (per dirla con il Presidente) in- dicare come risposta favorevole all'impeachment, allo stato delle cose, il «sì» dato alla domanda: «Se fosse provato che Clinton ha ostacolato la giustizia, dovrebbe essere rimosso?». E' comunque innegabile che il muro popolare che ha difeso il Presidente stia mostrando le prime crepe. Le domande dei sondaggi erano orientate anche la scorsa settimana, ma le risposte erano più favorevoli a Clinton. La richiesta di impeachment (comunque motivata) trova ora concorde il 41% degli interpellati, rispetto al precedente 35%. E il suo lavoro alla Casa Bianca ha sempre l'ap- provazione della maggioranza (58%), ma più risicata (era al 61%). L'esercito popolare dei difensori di Clinton, mentre rischia di farsi minoranza, si compatta nelle minoranze. Fosse per la popolazione di colore, Kenneth Starr sarebbe già andato a raccogliere il cotone. La sua approvazione nei confronti di Clinton come presidente è ancora all'86%, quella come uomo al 69% e il 55% attribuisce la colpa della tempesta politico-istituzionale ai repubblicani. Nel suo show serale il comico di colore Chris Rock ha definito Clinton il «primo Presidente negro della storia americana» e spiegato molto semplicemente perché i neri stanno dalla sua parte: «Siamo abituati alle persecuzioni, quindi ci identifichiamo nel Presidente». Appoggio quasi unanime è venuto anche dalla conferenza di gay e lesbiche americane. Mancano, per ora, i comunisti degli Stati Uniti, poi Bill Clinton potrà davvero mettersi al- la testa di tutte le «streghe» a cui l'America ha dato la caccia. Sarebbe, in fondo, un nobile martirio, ma è molto dubbio che lui voglia subirlo. Quello in cui spera, mentre si avvia alle Nazioni Unite, cercando di richiamare il popolo sotto la bandiera a stelle e strisce, sventolando i temi della politica internazionale, della lotta al terrorismo e dell'emergenza economica è che la gente, assiepata davanti al televisore per vederlo arrossire, di fronte al computer per leggere di come sollevava la gonna a Monica, reagisca con la controffensiva dello sdegno, riversandolo, invece che sul peccatore Clinton, sul predicatore Starr, figlio d'arte e inventore del confessionale telematico e planetario. Da stasera, come già accadde subito dopo la diffusione del rapporto Starr, migliaia di telefoni squilleranno contemporaneamente nelle case d'America e voci gentili, ma sempre più insistenti e spazientite, chiederanno cose come: «Adesso che ha visto e letto tutta questa porcheria, si è convinto finalmente che quel laido e bugiardo di Clinton se ne deve andare?». Domanderà inoltre, come da prassi, la vostra etnìa e, «se è lecito», le tendenze sessuali. Se alla prima domanda avete risposto «no» e alle ultime «negro» e «omosessuale», dirà «ah, ecco» e «grazie, scusi per il disturbo, a presto». Al prossimo sondaggio, se anche questo non basterà a dimostrare che la maggioranza è per l'impeachment, le dimissioni subito, i pomodori in faccia. Quale sarà il verdetto popolare dopo quest'altra giornata di vergogna e passione, nessuno sa dirlo. Dipenderà, anche, dal Dow Jones di fine pomeriggio. E dalle altre, misteriose variabili che attraversano l'anima e il cervello di questa gente d'America, amabile perché imprevedibile. Gabriele Romagnoli Resta incrollabile l'appoggio dei neri «Ci è simpatico perché pure lui è un perseguitato Il primo dei nostri alla Casa Bianca» I repubblicani sconcertati per la indifferenza degli americani Lo seguono anche i gay e le lesbiche Ma l'America «normale» è stanca e comincia a negargli qualche punto percentuale «Siamo dalla sua parte perché suona il sassofono. E' la prova che quell'uomo ha un'anima» (il reverendo nero Joseph Lowery al New York Times)

Luoghi citati: America, Arkansas, New York, Stati Uniti