«Compagno Fausto, vota la nostra manovra» di Guido Tiberga
«Compagno Fausto, vota la nostra manovra» Il leader Ds conclude il festival dell'Unità con un duro attacco a Berlusconi «signore feudale» «Compagno Fausto, vota la nostra manovra» D'Alema: altrimenti è un disastro, altro che svolta BOLOGNA DAL NOSTRO INVIATO Un minuto di applausi, troncati da un D'Alema impaziente: «E' meglio che cominciamo, perché di cose da dire ne abbiamo tante...». Tante da riempire un'ora e un quarto di comizio, interrotto da ovazioni pesanti quando le parole si fanno dure nei confronti di Berlusconi - l'uomo del «voltafaccia» sulle riforme - e da applausi di circostanza quando il discorso tocca con più delicatezza le continue minacce di Bertinotti. Ad aspettare il segretario, nell'arena grande della Festa dell'Unità, sono più di cinquantamila, anche se qualche spazio è vuoto rispetto al concertone dell'altra sera. Giovani e anziani, molti con bandiere, cartelli e tanta voglia di gridare «Massimo-Massimo», invocato per nome come gli altri: Veltroni, Cofferati, Violante, persino Mussi e Minniti sono accolti dai cori. D'Alema parte dalla Finanziaria, ed è subito Bertinotti: il «compagno» Bertinotti come lo chiama il leader della Quercia, che all'indomani degli ultimatum di Rifondazione sottolinea le differenze, ma non dimentica le radici comuni. Ricorda che anche i Ds vogliono «la svolta», ma poi avverte: «Non si può chiedere una sorta di comunismo in una sola Finanziaria». «Non si può distruggere il lavoro che ci ha portato nell'Euro: se tutto venisse spazzato via da un sussulto di settarismo e di irresponsabilità sarebbe un disastro. Altro che svolta...». Un altolà, ma anche un appello a restare uniti: «Abbiamo bisogno di dare tutti ima prova di responsabilità - conclude il leader della Quercia -, perché la politica è anche questo: esercizio di responsabilità, non soltanto inseguimento della propria vocazione...». La sinistra sta cambiando, incalza D'Alema, e il «mutamento non è indolore perché tocca il modo stesso in cui si è costruito il nostro blocco sociale». Ma il cambiamento è indispensabile, «perchè c'è qualcosa che non funziona in un Paese che destina solo il 35 per cento della sua spesa sociale a chi ha meno di sessantanni». Il segretario insiste: «Dobbiamo aprire la nostra società dobbiamo liberalizzare, dobbiamo svecchiare. Dobbiamo cambiare tenendo fermi i valori di solidaretà e socialità, e sempre attraverso un dialogo fitto con le grandi forze sociali». La svolta non si fa con le minacce, ma «attraverso un nuovo, grande patto sociale: tra imprenditori e sindacati, ma anche tra garantiti e non garantiti, tra Nord e Sud. Un patto tra le generazioni e tra i sessi...». La folla dei diessini è perplessa, forse si aspettava una posizione «più di sinistra». E D'Alema spiega: «Un patto sociale non è la soppressione del conflitto: operai e padroni non diventeranno mai uguali. Ma la convivenza è necessaria: bisogna fissare gli obiettivi comuni, perché il conflitto non distrugga ciò che è bene di tutti». L'applauso parte, e diventa ovazione quando il leader mette in guardia gli imprenditori «che vogliono procedere a passo di cari¬ ca». Attenti, dice, perché «senza l'intelligenza dei lavoratori, senza la partecipazione motivata del mondo del lavoro, le imprese italiane non vinceranno la sfida: flessibilità, riduzione dell'orario, creazione di nuovo lavoro non sono scelte tra loro incompatibili, ma possono conciliarsi in una visione più moderna. Se è giusto chiedere al sindacato coraggio nel rinunciare a rigidità corporative - prosegue D'Alema - non si possono chiudere gli occhi davanti a quelle masse di lavoratori giovani, atipici, precari, che oggi sono fuori da qualsiasi ga¬ ranzia, tutela, diritto...». Se Fausto Bertinotti è un compagno che va richiamato all'ordine, Silvio Berlusconi è un avversario da attaccare senza pietà. Due giorni prima, alla Festa, Walter Veltroni aveva chiesto «antagonismo e agonismo» nei confronti del¬ la destra. E D'Alema lo accontenta. Il Cavaliere è schiavo delle «sue vere o presunte convenienze personali», è privo di interesse «per le esigenze del Paese». Il suo obiettivo? «Drammatizzare lo scontro politico anche per rispondere all'incalzare delle vicende giudiziarie e poter inscenare l'improbabile commedia della grande persecuzione». Il suo programma per l'Italia? «Nove mesi di campagna elettorale». Il suo attacco ai colleghi di partito? «Pensate alla reazione dei cittadini europei di fronte a un capo dell'opposizione che dice ai suoi deputati: "Voi siete qui grazie al mio denaro e dovete difendermi". Non sono le parole di un leader politico, ma quelle di un signore feudale che parla alle sue compagnie di ventura...». Le riforme? «Aveva costruito tutta la sua propaganda su un centrosinistra conservatore. E ora, per colpa sua, sarà la destra a impedire che gli italiani eleggano direttamente il Capo dello Stato». La «concessione» a Veltroni, se di questo si tratta, è seguita però da un avvertimento al gruppo degli ulivisti, dentro e fuori i Ds: «Dei partiti c'è bisogno - taglia corto D'Alema - Ulivo e partiti sono legati allo stesso destino. I partiti senza Ulivo perdono. L'Ulivo senza i partiti sarebbe come un ponte che pretenda di stare in piedi senza i pilastri che lo sostengono». E poi piano a liquidare tutto, attenzione «ad avallare una indistinta critica qualunquistica verso i partiti e la politica. Quando prevalgono questi sentimenti - ormai dovremmo averlo capito - è la destra a vincere, non noi». Un monito a Prodi? «Che volete? - sorride D'Alema - a me la parola "partito" piace ancora...». Guido Tiberga «La nostra società si deve svecchiare Ci vuole un nuovo, grande patto sociale tra imprenditori e sindacati, ma anche tra garantiti e non garantiti, tra Nord e Sud. Un patto tra i sessi e tra le generazioni»
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