Nell'era di Internet vince ancora il giornale

Nell'era di Internet vince ancora il giornale mass media. Una ricerca rovescia i luoghi comuni: non è vero che i quotidiani sono condannati Nell'era di Internet vince ancora il giornale ERA televisione, radio, cinema, audiovisivi, musica registrata, libri, periodici, quotidiani, Internet e business information, qual ò il medium della comunicazione per cui il pubblico americano spende di più? Il buon vecchio giornale quotidiano, del quale mille volte si è predicata la crisi irreversibile e che invece gode condizioni di salute molto migliori di quelle diagnosticate. Tenendo conto degli esborsi dei consumatori e degli investimenti pubblicitari, l'editoria dei quotidiani assorbe infatti, negli Stati Uniti, il 20% della spesa complessiva. Televisione, cinema e business infonnation si aggirano attorno al 12%, poco sopra l'editoria libraria e quella dei periodici, mentre i media interattivi registrano un notevole tasso di espansione ma su percentuali ancora basse. La statistica è citata, come prova del peso che i quotidiani continuano ad avere nella vita sociale, in un volume controcorrente, edito dal Mulino, che arriverà nelle librerie fra pochi giorni: Economia dei quotidiani, di Franco Mosconi, consigliere economico di Romano Prodi, dopo essere stato docente all'Università di Bologna. Il saggio dissoda un campo da noi poco studiato (se si eccettuano sporadiche ricerche come II marketing impossibile di Luigi Montresor) e applica gli strumenti dell'analisi economica per mettere a nudo, di fronte alla rivoluzione elettronica e informatica, lo spazio che resta a un medium tradizionale, e persino romantico, come il quotidiano. Il risultato della ricerca rovescia un abusato luogo comune: è vero che i quotidiani, in tutto il mondo, attraversano una fase critica ma non sono affatto marginali, né si prevede lo diventino. «Se prendiamo le prime cinquanta società della comunicazione nel mondo - scrive Mosconi -, notiamo subito che molte di esse fondano la loro forza proprio sui quotidiani, o comunque traggono da essi una consistente percentuale del loro fatturato». Qualche caso: la News Corporation di Rupert Murdoch, il Gruppo Thomson o il Gruppo Springer, l'impero che unisce Times e Mirror. Esaminando da vicino il settore dei quotidiani, si nota anche una grande dinamicità, per cui convivono celebri aristocrazie (i Graham del Washington Post o i Sulzberger del New York Times, e nuovi magnati, dall'australiano Murdoch all'irlandese O'Reilly. Sono le cosiddette «Tigri di carta», capaci di operare su uno scacchiere mondiale. Tre testate d'altra parte sono ormai stampate e diffuse in tutto il mondo: Internation Herald Tribune, Wall Street Journal e Financial Times. Nonostante il rilievo assunto dalla televisione come diffusore di spot pubblicitari, «nella maggior parte dei Paesi industrializzati i quotidiani rappresentano ancora il principale canale pubblicitario». E' vero che in Italia la ripartizione degli investimenti pubblicitari è sbilanciata in favore della televisione (53%) a danno dei quoti¬ diani (20%), ma in altri Paesi il rapporto è rovesciato: Svezia (63% ai quotidiani, 18% alla televisione), Germania (31% ai primi, 17% alla seconda). Altrove è comunque più equilibrato: in Gran Bretagna (35,6 e 31,5) o in Norvegia (37 e 35), mentre negli Stati Uniti risulta perfettamente paritario, con un 22,8 (nel 1996) agli uni e all'altra. Come in Italia, la televisione fa la parte del leone anche in Argentina (52,9), Brasile (50), Grecia (66,5), Polonia (61) e Portogallo (61). Il libro ricostruisce le caratteristiche specifiche dell'industria dei quotidiani, mettendo in luce le dimensioni dei mercati, le tendenze alla concentrazione, la natura oligopolistica, la capacità competitiva. Il quadro finale è quello d'un settore con diversi problemi ma anche con una grande capacità di adattamento. Fra le strategie con cui i quotidiani hanno affrontato la crisi dovuta alla concorrenza di altri media, in una prima fase è prevalsa la «differenziazione orizzontale» rinnovando la varietà del prodotto (con gli inserti, i supplementi, i magazine e i gadget), mentre negli Anni Novanta è in corso una «differenziazione verticale», che si presenta come una battaglia di qualità. Che cos'hanno in comune, domanda infatti Mosconi, «l'ottimo andamento» di Le Monde, il giornale francese più prestigioso e da un anno anche il più diffuso, la buona performance del britannico The Guardian, nonostante la guerra dei prezzi operata da Murdoch nel '93'95, il progettato ingresso nella carta stampata di due agenzie di stampa come Reuters e Bloomberg, il cartello New Century Network, costituito da New York Times e Washington Post «per prepararsi alla concorrenza con i giornali telematici creati da Microsoft»? Risposta: «Una sempre«ipaggiqj:.qualità delle testate, duella che nel campo delle strategie aziendali si chiama tecnicamente «la scommessa del marchio». Alberto Papuzzi te- GLI AMERICANI E L'INFORMAZIONE Spesa complessiva nell'industria delle comunicazioni negli Usa (quote percentuali sul totale) 1989 1994 1999* ■ Televisione (Broadcasting) 13,4 12,4 11,6 ■ Radio (Broadcasting) 4,6 4,4 4,5 ■ Servizi video 8,7 10,3 11,2 ■ Cinema 12,3 12,6 12,1 ■ Musica registrata 3,6 5,2 5,8 ■ Editoria quotidiana 24,4 20,6 19,1 ■ Editoria libraria 10,0 10,2 10,2 ■ Editoria periodica 10,3 9,5 9,2 ■ Servizi di business information 11,8 12,3 12,0 ■ Media interattivi 0,8 2,5 4,4 ' Previsione). Fonte: Vernnis, Suhler & Associates (1995)