Ore 10,34, un'ovazione cancella la paura dei fedeli di Pierangelo Sapegno

Ore 10,34, un'ovazione cancella la paura dei fedeli Ore 10,34, un'ovazione cancella la paura dei fedeli L'ATTESA NEL DUOMO NAPOLI DAL NOSTRO INVIATO San Gennaro ha fatto la grazia, come urla il primo dei fedeli sporgendosi fra le mamme e le zie, stretto così, fra le preghiere e i bisbigli. Sono le 10 e 34, quando il cardinale sorride levando la teca e mostrando il miracolo. Grazie, San Gennaro. L'altr'anno erano le 10 e 05. A maggio di quest'anno ci aveva messo tutto il giorno, stavano già per mettere via la teca. «E questo è il primo segno», dice Antonio Martuscielh, il notaio del prodigio, quello che? sventola il fazzoletto ai fedeli annunciando la lieta novella. «Mi capisce?». Dieci secondi di applausi. Due frasi dell'arcivescovo, e altri 5 secondi. Un grido: «Evviva il cardinale». Un altro grido: «Evviva Michele». Sette secondi di applausi. L'avvocato Enrico Tuccillo, difensore del presule, fa un sorriso febee, inequivocabile. San Gennaro, magari, avrà parlato. Bassolino alza la testa. L'ambulante che vende i botti s'affaccia in Chiesa. Il Duomo è come un teatro con il pubblico assiepato sotto l'altare e fermato dietro le transenne, ed è come un teatro che recita, nel nome di un santo e nel cuore di un miracolo, la sua fede e il suo amore, e la storia giudiziaria del suo cardinale. Ma chi è l'attore di questa rappresentazione popolare? L'arcivescovo, la sua gente, il santo? «San Gennaro prega per noi», lecita la vecchietta. Quando Michele Giordano sta per uscire, in 4 salgono sui banchi per contestarlo. La vecchietta si fa il segno della croce. Perdona loro, o Signore. «Fuori, fuori, dimissioni subito», urla uno. Il presule è all'incirca alla metà della navata, sta percorrendo gli ultimi metri che lo separano dalla cappella di Santa Restituta. Dalla folla rispondono con le parole del Vangelo: «Vergognatevi voi, chi è senza peccato scagli la prima pietra». L'ambulante è tornato alla bancarella, i bimbi sgranocchiano noccioline accecati dalla grande luce che il sole spara sulla navata centrale. «E' una vergogna, dimettiti!», continuano a gridare. Un uomo strilla puntando il dito: «Voi bestemmiate! Voi bestemmiate!». Dice il Vangelo: «Io sono venuto a curare i sani, non i malati». Il cardinale resta impassibile. Aveva appena detto all'unico giornalista che l'aveva avvicinato: «Sono sempre contento, qualsiasi cosa avvenga». E uno dei contestatori risponde ai cronisti che l'assediano: «Sono l'architetto Bruno Faraone, e non ho paura a dirlo. Ho gridate dimissioni perché dopo quello che è successo il cardinale non è più degno di essere l'arcivescovo di Napoli. Non conosco gli altri che hanno contestato, non è stato combinato nulla di preordinato: dico soltanto che è una vergogna, tutto questo è una ipocrisia. Sappiamo tante altre cose che prima o poi vorranno fuori». E' una scena che si mescola alle processioni incrociate della Chiesa, fra quelli che escono e quelli che vanno in coda verso la teca con il sangue sciolto, dietro alle vesti bianche dei sacerdoti che accompagnano il presule, sotto le luci che filtrano fra i ponteggi dorati che salgono fino al soffitto, mentre i bimbi piangono e le mamme ascoltano. Il Signore ci ascolta, dice il Vangelo. «Sono un fedele deluso», confessa l'architetto. Attorno hanno già fatto crocicchio: «La verità non la conosciamo, come facciamo a dare sentenze?». Nella città del teatro, San Gennaro è un vecchio, caro amico, che conosce tutti qua dentro, oltre questo sipario che non c'è, nel Duomo di fedeli e di brusii, che conosce anche i peccatori che lo riempiono, le vittime e i poveracci, anche il , bambino con il pal- Ione sottobraccio, sudore e gote rosse, i due fratellini con i sacchetti di noccioline, le mamme con gli occhi spalancati, sta bravo Fefé, il vecchietto che s'arrampica sui tubi del ponteggio: «Papà? Papàaaa...». In fondo, la rappresentazione del miracolo è una kermesse che si agita e si muove prima ancora che il Duomo si riempa, prima ancora delle 9 quando arriva il Cardinale e Bassolino gli si fa incontro con la fascia tricolore, è mia scena che si materializza sui volti della gente, degli zingari che chiedono l'elemosina, dei giapponesi che si infilano nella l'olla con le macchine fotografiche, fra i bambini con i pulcini chiusi in una busta di cellophane comprati nelle bancarelle sistemate sul sagrato. San Gennaro dev'essere davvero il vecchio amico che tutto comprende e tutto perdona, come in quello sketch famoso di Massimo Traisi, quando il fedele gli chiede persino di non ascoltare quell'altro, «che sta pure antipatico». Sarà che se ami qualcuno, devi essere come lui. In fondo, è semplice a pensarci bene. E allora, come poteva questa volta non ripetere il suo miracolo, come poteva proprio questa volta? Prima che cominci il rito, c'è anche chi separa la storia del cardinale e quella del patrono di Napoli. Dice uno: «Cosa ha a che fare San Gennaro con il cardinale? Il santo resta. Giordano passa. Noi siamo qui per il miracolo, perché I siamo cattolici e devoti del pa¬ trono». Però, alla fine, non è solo l'avvocato Tuccillo che sorride e saluta, «avete visto?». Non è solo Paolo Martuscelli, il notaio del miracolo, che spiega e consola: «Guardate che questa volta era più difficile. Il sangue era duro, un blocco. Questo è un prodigio ec-ce-zio-na-le». Buon segno per chi? «Per tutti, per TUTTI. Capito? Significa che il Signore ci protegge». Ed è vero che quando la paura che il grumo di sangue in quell'ampollina di vetro e d'oro non potesse diventare liquido è scomparsa dai volti del popolo di San Gennaro, gli applausi e le ovazioni sono state lunghe e ripetute come un abbraccio da regalare al cardinale. E anche se prima c'era chi aveva detto: «Oggi sapremo veramente se credere al miracolo o no, San Gennaro non può farlo oggi»; quando l'ex provveditore ai lavori pubblici ed ex parlamentare di Cirino Pomicino, Paolo Martuscelli, sventola il suo fazzoletto bianco, c'è chi si commuove, c'è chi piange, chi leva il pargolo in alto sulle teste. E Anna Sesso, 35 armi, protesta che al povero cardinale «gli hanno già fatto il processo, sta sopportando un vero e proprio linciaggio. Adesso gli andrà meglio». Forse è vero. Ma nella città del teatro, la scena è una rappresentazione che non finisce mai, e a che serve dire clic «oggi non è venuto Scalfaro, e il sangue s'è sciolto» e a che serve pensare che tutto deve ancora accadere. Magari bisognerebbe fare semplicemente come lui, San Gennaro. Chi non ama, non capisce. Pierangelo Sapegno La folla risponde a chi accusa il presule «Non bestemmiate Evviva Michele» Prima del miracolo soltanto bisbigli a ricordare i problemi giudiziari del cardinale

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