Il giallo degli yen scomparsi

Il giallo degli yen scomparsi Interessi dello 0,13%, sfiducia negli istituti di credito: un'altra faccia della crisi a Tokyo Il giallo degli yen scomparsi Giappone, i risparmi disertano le banche TOKYO DAL NOSTRO INVIATO L'ultimo acquisto di un certo valore compiuto da Kazuhiro Seki, dirigente d'azienda, è stata una cassaforte, per tenerci dentro i risparmi. «In banca - spiega - ormai danno così poco che non merita nemmeno il viaggio in filiale. Eppoi, si parla tanto di crisi...». Non ha tutti i torti il signor Seki: dopo l'ennesimo calo dei tassi, un deposito di almeno 500 mila yen rende lo 0,13%, al lordo delle tasse e delle spese. E non va meglio con i titoli di Stato: il Btp giapponese, a dieci anni, paga lo 0,71%; siamo ai minimi della storia della finanza, perché occorre risalire, spiegano gli esperti, alla fine del '500 per rintracciare un'emissione obbligazionaria della Repubblica di Genova più «avara». E nemmeno un'iniezione di quattrini facili del genere serve a rilanciare gli investimenti. «E' il vecchio proverbio - replica Ron Bevacqua di Merril Lynch -, puoi portare il cavallo alla fonte, ma non puoi obbligarlo a bere. Le aziende hanno investito troppo nei primi Anni Novanta, oggi c'è eccesso di capacità produttiva. Perché costruire nuove fabbriche se nessuno compra tv o auto?». Ma non basta il calo degli interessi a spiegare la sfiducia dei risparmiatori. Calano i consumi, aumentano i contratti per le cassette di sicurezza in banca o gli acquisti di casseforti (30% in più dall'inizio dell'anno) e, in un solo mese, i depositi postali hanno avuto un balzo all'insù di 3341 miliardi di yen (40 mila miliardi di lire). Le famiglie giapponesi, insomma, non si fidano e non prestano soldi alle banche. Meglio la Posta, o il materasso. E così capita che, nonostante il denaro ormai costi poco più di zero, i soldi spariscano letteralmente dalla circolazione. Non basta che, da queste parti, esistano i risparmiatori più tenaci del pianeta, capaci di metter da parte in media 12,5 milioni di yen per famiglia ( 150 milioni di lire) e di accumulare una ricchezza fantastica, al di là del concepibile (1200 trilioni di yen, poco meno di 10 mila miliardi di dollari o, se preferite, 150 mila milioni di miliardi di lire....). Le banche giapponesi, nonostante tutta questa ricchezza, non riescono a raccogliere dollari in giro per il mondo (spesso posseduti da giapponesi) se non accettando di pagare un «premio per il rischio» che aumenta ogni giorno di più. E sono proprio le banche, ormai, il vero nervo scoperto di una società in preda alla depressione. All'improvviso, pochi mesi fa, i cittadini del Sol Levante hanno scoperto che la grande finanza dell'Impero dell'economia asiatica aveva i piedi d'argilla: prima è fallita la Sanyo, poi la banca Hokkaido Takushoku, sostenuta dalle cooperative degli agricoltori, infine il colosso Yamaichi. E qui si sono scoperti i primi, colossali intrecci tra speculazione e la grande burocrazia, il cuore del Sol Levante, quell'esecito di samurai dell'efficienza che il Paese, da sempre diffidente verso i politici, considerava il proprio fiore all'occhiello. Non era che la punta dell'iceberg. Oggi il Paese, sgomento, s'interroga sulle dimensioni del «buco» delle 19 principali banche del Paese. A quanto ammonta? Una cifra credibile, tra sofferenze e crediti incagliati, potrebbe avvicinarsi ai 35 mila miliardi di yen (450 mila miliardi di lire), ma c'è chi ha parlato di 87.500 miliardi (più di un milione e centomila miliardi di lire). Infine, gli americani di Standard and Poor's, in un accesso di catastrofismo, hanno sollevato la cifra di 151 mila miliardi di yen, ovvero due milioni di miliardi di lire, poco meno dell'intero debito italiano... E', comunque, assai di più dei 13 mila miliardi di yen stanziati dal governo. «Al di là dei numeri - spiega Alicia-Ogawa, responsabile del settore ricerche di Salomon Brothers , Smith Barney a Tokyo - il fatto è che qui piovono più debiti che chicchi di riso ad un matrimonio...». Ce la farà il sistema Giappone? «Quando la casa brucia - è la risposta - il primo a muoversi dev'essere il padrone di casa. Altrimenti l'incendio di una casa grande, e questa è la seconda del mondo, rischia di espandersi dappertutto...». Di qui le pressioni degli americani e l'insistenza con cui il premier Obuchi ha cercato l'accordo con l'opposizione per presentarsi a New York da Clinton con un piano credibile. L'intesa con il leader dell'opposizione Naoto Kan, il Prodi locale che rappresenta il cartello delle minoranze, è stata raggiunta in extremis, dopo undici ore di confronto diretto. E ci sono novità non da poco: la Ltcb, la banca sull'orlo del tracollo, sarà salvata ma passerà, almeno temporaneamente, sotto il controllo dello Stato. A guidare il sistema, poi, ci sarà un'agenzia autonoma, indipendente dal ministero delle Finanze. Una vera rivoluzione in un Paese dove, fino a due anni fa, il ministero non consentiva, per legge, alle banche di chiudere l'anno in rosso, ma interveniva direttamente nella preparazione dei bilanci. Un sistema che ha contribuito, non poco, a porre le premesse del crack. Kenichi Ornane, l'economista e politologo giapponese più noto al mondo (famoso in Italia per aver anticipato la fine dello Stato-nazione), è tra i più critici: «La crisi del Giappone è la diretta conseguenza della crisi delle banche, a sua volta legata allo choc immobiliare dall'89 in poi». «Vede quel parcheggio - continua guardando oltre la finestra della sua Foundation - l'ha costruito dieci anni fa una società con un finanziamento da 3 miliardi di yen della Bank of Tokyo Mitsubishi. Oggi vale meno di un decimo, ma nei bilanci della banca figura ancora ai valori originari, come garanzia di un credito ormai inesigibile». Per dare una dimensione al fenomeno, negli anni della «bolla finanziaria», tra l'85 e il '90 (dopo la rivalutazione del 100% dello yen sul dollaro Usa), il valore degli immobili a Tokyo aveva raggiunto e superato quello di tutti gli Stati Uniti; l'area del parco del Pa¬ lazzo Imperiale, secondo una stima «prudente», valeva più dell'intero Canada... «E il governo da anni - incalza Omahe - tiene il mercato immobiliare nel congelatore perché sa che, se qualcuno dovesse vendere un palazzo, s'innescherebbe il crollo dei prezzi travolgendo costruttori, banche, intermediari». Qualcuno, per la verità, ha provato a comprare. Sono state le grandi banche americane a comprare pacchetti di crediti immobiliari. Peccato che, spesso, ai banchieri di Wall Street si sono presentati «proprietari» particolari: i gangster della «yakuza», che hanno obbligato i compratori a far marcia indietro... «Intanto - commenta l'economista Omahe - a pagare il prezzo sono stati i contribuenti». Ma basterà? «L'importante è che facciano finalmente qualcosa di sensato - ruggisce Christopher Wood, "global strategist" di Santarder Investment •■; hanno drogato l'economia con la spesa pubblica, poi, nel '97, hanno inflitto ai consumi una tripla mazzata fiscale. A quel punto hanno promesso sgravi e per anni hanno nascosto la verità sulle banche che prestavano quattrini solo in base al sistema delle clientele.. Il Giappone ha le munizioni per uscire dalla crisi, ma non sa dove sparare. E ogni giorno di più cresce il rischio che si spari addosso». Se questa è l'opinione della grande finanza si può capire perché il signor Seki pensi a comprare una cassaforte. Lui, per giunta, ha un'altra, ottima ragione per esprimere sfiducia nel sistema: lui, 59 anni, ha vissuto poco più di un anno fa il dramma del licenziamento, uno choc quasi inedito per la società giapponese, inimmaginabile fino a pochi anni fa. «Ormai capita spesso - spiega la sociologa Chie Nakano, la prima donna a far carriera accademica all'università di Tokyo -, le aziende tendono a liberarsi dei cinquantenni, che costano troppo, e a rimpiazzarli con i giovani, meno pagati. Come si fa? Si offre un posto, di minor rango e salario, presso una società minore affiliata al keiretsu. Poi si offre di meno, sempre di meno...». Seki ha avuto fortuna: è diventato, con uno stipendio più basso, dirigente della DbmJapan, uno società americana specializzata per aiutare le aziende a sistemare altrove i dirigenti in esubero. Settore in crescita, già 150 aziendeclienti, in meno di un anno. Storie del genere appartengono a tutte le società industriali del mondo, in America o in Europa, investite dalla ristrutturazione. Ma qui, in un Paese che ha fatto dell'impiego a vita e dell'anzianità come criterio rilevante, se non principale, della carriera, l'impat- ' to è ben diverso. «A 40 anni spiega Masaomi Kaneko, re- j sponsabile per il comune di ! Tokyo per l'assistenza ai disoccupati - da noi un uomo diventa un kaisha ningen. L'a- I zienda, ovvero la kaisha, per lui è il centro del mondo». «La kaisha - spiega la signora Nakane - è molto di più dell'azienda. E' il centro della vita sociale dopo il lavoro, la corazza che protegge dai problemi. C'è spesso piti fedeltà alla kaisha che alla famiglia». Ora quella certezza svanisce o, comunque, s'incrina. E ai vertici della sfera sociale, s'intuisce la necessità di dare risposte nuove al malessere che s'avverte dietro le onde della crisi. Iwao Toriumi, presidente della Marubeni, confessa, in un'intervista all'autorevole Yomiuri, il rimorso per non aver mai visto il suo unico figlio maschio, morto dieci mesi dopo il parto; l'azienda, commenta amaro, non permetteva ad un giovane in carriera di abbandonare il posto all'estero anche per pochi giorni. «Il lavoro non è tutto», ammonisce Toriumi, e più che una confessione sembra un ordine per i suoi 200 mila dipendenti-soldati, accusati di non consumare a sufficienza. Talvolta, però, il soldato diserta ed entra nelle file degli «yonighé», coloro che scompaiono nel nulla per non poter far fronte ai debiti: più di 100 mila persone, secondo la società di investigazione Teikoku Databank, svanite nella notte nell'ultimo anno pur di non affrontare il disonore, magari per pochi milioni di lire. «Ma non dovete esagerare ammonisce ancora la signora Nakane - il Giappone saprà riprendersi, ma ha bisogno dei suoi tempi. Da noi la democrazia funziona così e non saranno i mercati finanziari a cambiare le nostre regole». La crisi sarà grave, insomma, ma l'esercito del Sol Levante, prima o poi, riprenderà la marcia... «Abbiamo saputo cavalcare le novità - risponde la signora Nakane - ai tempi dell'era Tokugawa o quella Meji, lo faremo ancora. Non vedo in circolazione un generale, perciò ci vorrà una convinzione collettiva e un grande consenso per incamminarci su una strada nostra, moderna ma non occidentale. E non credo sia un male...». Ugo Bertone Solo alla fine del '500 a Genova E crolla un'altra certezza della il denaro rendeva così poco società: il posto di lavoro a vita Il favoloso tesoro delle famiglie (150 mila milioni di miliardi di lire) finisce in cassaforte o nel materasso I fallimenti a catena dei colossi della finanza hanno fatto scoprire l'intreccio tra speculazione e grande burocrazia La Borsa di Tokyo: un'estate da brivido per i risparmiatori Una fabbrica in Giappone Con i primi licenziamenti dei dipendenti «anziani», più costosi dei giovani crolla il mito del lavoro garantito a vita e dell'azienda come punto di riferimento