«Un Tribunale per il mio Paese stuprato»

«Un Tribunale per il mio Paese stuprato» «Un Tribunale per il mio Paese stuprato» Lo scrittore: per il momento io non torno a Lagos QUATTRO ANNI D'ESILIO QPARIGI UALCOSA si muove in Africa. Qualche piccolo passo. Anche nella mia Nigeria. Ma ora occorre una commissione d'inchiesta che faccia luce sui crimini commessi ai tempi della dittatura. Il mio Paese ha attraversato un lungo periodo di oscurità. Torture, arresti indiscriminati, esecuzioni sommarie, ruberie. La Nigeria è stata violentata e depredata, il capo dell'opposizione Abiola, avvelenato. Ora dobbiamo individuare i responsabili di tutto questo». Wole Soyinka, Premio Nobel per la Letteratura, nei giorni scorsi era a Parigi per la consegna del premio dell'Unesco e di «Reporter sans frontières» a Christina Anyanwu, giornalista nigeriana appena liberata dopo tre anni di carcere. Professor Soyinka, in Ruanda vengono pronunciate le prime condanne per il genocidio, in Nigeria il generale Abdulsalani Abubakar indice elezioni presidenziali per il febbraio prossimo: l'Africa intravede una speranza? «Il voto da solo non basta. Il nuovo governo ha fatto un passo nella giusta direzione. Ma una cosa è convocare elezioni, un'altra stabilirne con precisione le modalità che non sono quelle richieste dall'opposizione - e accordare le necessarie garanzie. Invece si fa molta retorica sui diritti umani e regolamenti astrusi, come quello che consente di partecipare solo ai partiti rappresentati in tutto il Paese. Assurdo. Ci vuole una Costituzione. Ci vuole una Conferenza nazionale che fissi le regole. E, insisto, la società civile deve imporre una commissione per accertare le responsabilità di quel che è accaduto». Con quali poteri? «Abbiamo di fronte l'esempio del Sud Africa, che ha creato una Commissione perla riconciliazione: chi confessa non può essere punito. Ma possiamo anche pensare a un tribunale che giudichi e sanzioni. La Nigeria ha vissuto un incubo. Mai si erano viste tali atrocità. Il figlio del dittatore Sani Abacha, Mohammed, partecipava personalmente alla tortura dei prigionieri. I famigliari degli oppositori politici venivano presi in ostaggio, ai bambini si chiedeva: "Dov'è tuo padre?" puntando loro una pistola alla tempia. I dignitari del regime hanno intascato le tangenti delle compagnie petrolifere, c'è chi ha rubato mezzo miliardo di dollari (oltre 800 miliardi di lire, ndr). Una cosa è certa: chi ha saccheggiato il Paese deve restituire il bottino». Lei è impegnato nelle file dell'opposizione. Tornerà in Nigeria? «Per il momento no. Recentemente abbiamo tenuto una riunione di intellettuali nigeriani democratici a Londra, e abbiamo deciso che il rientro in patria avverrà per scaglioni. Io non faccio parte della prima ondata. Attendo. Guardo come si comporta il nuovo governo. Il popolo sostiene la nuova politica, ma dobbiamo essere pronti a rialzare barricate, se necessario. Mi rallegro che la voce dell'opposizione sia tornata a farsi sentire, grazie alla radio Kudirat, intitolata alla moglie di Abiola assassinata un anno e mezzo prima del marito». Qual è la sua opinione sulla morte del capo dell'opposizione? «L'hanno avvelenato lentamente in carcere. E il nuovo regime ha coperto l'assassinio. Anche le commissioni Onu e Usa che erano in Nigeria hanno le loro responsabilità. Abbiamo perso un uomo di grande apertura mentale». Il generale Abubakar al potere ha promesso che non si presenterà alle presidenziali. «I generali non sono stupidi. Abacha era un'eccezione. Abubakar è più intelligente. Sa che il tempo dei militari è finito. Abbiamo bisogno di un uomo che rappresenti il po¬ polo, non le compagnie petrolifere». C'è davvero sempre l'Occidente dietro i drammi africani? «Dietro la guerra post-coloniale che insanguina i Paesi dell'Africa centrale, sì. In Ruanda, ad esempio, la Francia è implicata. Non è vero che l'Occidente abbia fatto un passo indietro. Può avere un ruolo positivo nella regione e anche in Nigeria, se collabora al ritorno di milioni di esidi e al disarmo dei terroristi. Ai leader africani chiedo mia cosa sola: non applicate a una guerra che ha radici politiche ed economiche il linguaggio tribale, non parlate di etnie contrapposte, di hutu e tutsi. Disinnescate il potere distruttivo delle parole; altrimenti si innescano nuovi genocidi». Abubakar, durante l'incontro a Città del Capo con Nelson Mandela, ha parlato di ((rinascimento africano». «Sono stato in Sud Africa di recente. Molti leader neri vanno e vengono di là, e tutti parlano sempre di rinascimento africano. Non sono d'accordo con questa espressione. La ritengo immotivata e non necessaria. In Africa è sempre meglio usare espressioni indigene». Aido Cazzullo «Il figlio del dittatore Abacha partecipava alla tortura dei prigionieri. Chiedevano ai bambini, pistola puntata: dov'è tuo padre?»