KOHL, L'ULTIMO DELLA GERMANIA INQUIETA di Barbara Spinelli

KOHL, L'ULTIMO DELLA GERMANIA INQUIETA KOHL, L'ULTIMO DELLA GERMANIA INQUIETA democristiani e socialdemocratici più Verdi. E' in gioco un cambio di generazione, e al tempo stesso è in gioco una metamorfosi inarrestabile della nazione. Congedarsi da Kohl è anche questo, infatti: è la fine di una strategia della reminiscenza permanente, su cui si è edificata dopo il '45 la Germania occidentale. E' il tramonto della «potenza riluttante che per decenni ha scelto di farsi addomesticare dalla memoria collettiva», come scrivono Andrei Markovits e Simon Reich in un libro su politica e memoria in Germania (The German Predicament, Cornell University Press'97). Kohl stesso ha ingenerato queste mutazioni radicali, con le sue azioni dopo la caduta del Muro. L'accelerata unificazione, l'accorpamento di una nazione con i suoi 16 milioni di abitanti al di là dell'Elba, la tempestiva e dolorosissima sintesi tra esperienza democratica della vecchia Repubblica Federale ed esperienza totalitaria della Germania Est: tutti questi sviluppi arditi e modernizzatori son stati voluti dal Cancelliere, e ora essi minacciano di affrettare il suo declino, in una sorta di malefica nemesi. Il successo dei cristiano sociali in Baviera potrebbe non essere sufficiente, giacché non è in questa prospera regione governata dalle destre neonazionaliste ma moderate di Stoiber, che si deciderà il futuro nazionale. Quest'ultimo si deciderà essenzialmente a Est, nei cinque Làndcr che incarnano anch'essi una nuova Germania mutante, non più tranquillamente prevedibile, incorporata da Kohl nell'affluente Repubblica Federale e oggi più che mai ribelle al Cancelliere che fu suo liberatore. Questa Germania è piena di rancori, di risentimenti, di fierezze mortificate. Già da tempo omette di elogiare l'unificazione, ed è animata da retrattili appetiti di identità separata, protetta. Spesso ha anche nostalgia dell'Est sovietizzato e perduto: i tedeschi parlano in tal caso di Ostaigie. E' come se alla Repubblica occidentale si fosse aggiunta una Germania più antiquata, più tedesca: una Germania che tesuscita parole d'ordine antiparlamentari, antipolitiche, anticapitaliste, che erano di moda a Ovest negli Anni 60. La sola grande differenza è che le parole in questione «sono emigrate da sinistra all'estrema destra», come scrive in un lucido articolo Klaus Hartung, sul settimanale Die Ztìt. Si spiega in questo modo la preferenza che i tedeschi orientali danno oggi ai protestatari di estrema destra, oltre che ai comunisti della Pds. Non è solo il razzismo xenofobo, che fiorisce sulle macerie antidemocratiche del comunismo. E' la questione sociale che esplode, in regioni dove la disoccupazione raggiunge il 17,1 percento - il doppio rispetto alla Germania Ovest - e in apparenza non esistono che i partiti estremi, a promettere conforti tempestivi. 1 democristiani son divenuti meno credibili, perché Kohl ha illuso l'Est con il fatuo miraggio di una subitanea prosperità. Ma anche i socialdemocratici son deboli, non sempre capaci di adattare le convinzioni al Paese mutante. La spinta verso una Grande Coalizione potrebbe venire da queste sfinitezze dei partiti centrali: che saranno forse costretti a governare insieme, se estreme destre e sinistre inibiranno un'alternanza classica. Le sinistre tedesche non sono senza responsabilità, per la gracile cultura politica che regna nelle regioni orientali. Per anni hanno osteggiato la riunificazione nazionale, e spesso anche l'Euro di Kohl. Per anni hanno evitato di parlare a Est il linguaggio della verità, e hanno preso parte a demagogiche campagne contro il libero mercato generatore di disoccupazione, o contro il «capitalismo gelido» di Kohl. Dice ancora Klaus Hartung che le sinistre non hanno mai cessato di sentire malessere di fronte all'unità nazionale, e di «rimpiangere il confortevole status quo della Repubblica federale, prima della caduta del Muro». Ma soprattutto hanno rinunciato a imporre una strategia della memoria ai connazionali dell'Est, paragonabile alle strategie che hanno fatto rinascere il senso della responsabilità individuale in Repubblica federale dopo il '45. Accade così che 12 milioni di elettori a Est si sentano vittime: passive, irresponsabili, immemori dei vizi appresi nel comunismo. Che aspettino non soluzioni imperfette, ma si mettano ad invocare figure di Salvatori, di Redentori. Schròder lo sa, e per questo promette poco, prende le distanze da alcuni dogmatismi socialdemocratici, punta su alleanze con il nuovo laborismo britannico, spera nella nuova sinistra occidentale che domani si riunirà a New York. Forse un giorno scoprirà anche le virtù della strategia della memoria: strategia su cui Helmut Kohl ha costruito i propri grandi disegni europei, la propria idea di una Germania in mutazione, e la propria Statura di statista a tutt'oggi incomparabile, nel vecchio continente. Barbara Spinelli