Eva Mei, sognante Amina

Eva Mei, sognante Amina Torino: la «Sonnambula» di Bellini chiude la stagione del Regio Eva Mei, sognante Amina Bravi il tenore Florez e il basso Pertusi TORINO. Era molto buona l'esecuzione della «Sonnambula» che il Teatro Regio ha presentato con successo, l'altra sera, in conclusione della stagione lirica. Eva Mei è un soprano leggero che canta con splendida agilità, smorza la voce in pianissimo, la fa crescere, scivolare con precisione nelle scale cromatiche. Il suono è sempre bollo, morbido ed espressivo. Riesce bene, così, il carattere stranito della sonnambula Amina, che vive in bilico tra realtà e visione: per lei la vita è un sogno e il sogno è vita, una vita felice, di innocenza e di affetto, ma esposta alle insidie del male: la morte l'attende quando cammina addormentata sui tetti, rischiando di precipitare sulle pale del mulino, e il fidanzato, ignaro, la respinge quando, dormendo, fa coso che, da sveglia, non farebbe mai. Tanto tenero quanto reattivo, Elvino è il classico tenore di grazia e Juan Diego Florez, recentemente applaudito a Pesaro nella «Cenerentola», copre questo ruolo con grande naturalezza, bollo sfumature, acuti sicuri, e quel senso di intensa malinconia che pervade l'opera in ogni nota. Bone anche Michele Pertusi nella parto del conte in cui si coagula la poesia del ricordo: memorie di luoghi mai più rivisti, di amori sfioriti, di persone scomparse. E bene pure Elisabetta Scano nella parte brillante di Lisa. Il direttore Roberto Tolomelli ha tenuto l'orchestra un po' in sordina; qualche brillantezza in piii non avrebbe guastato. Ma in compenso ha fraseggiato con eleganza, accarezzando i legni e togliendo rigidezza agli accompagnamenti che pulsavano davvero come battiti e sospiri. Di quella musica, tutta echi di melodie che si rincorrono nel ricordo di se stesse, e di suoni che si prolungano nell'ambiente, Tolomelli ha colto gli effetti di intimo stupore, che sembrano costellare la partitura come tanti punti esclamativi piazzati senza enfasi da Bellini in ogni pagina. La regia di Mauro Avogadro e le scene di Giacomo Andrico, invece, non concedono nulla al sentimento, essendo di una essenzialità severissima. Quattro muri e pilastri grigi incorniciano nel primo quadro l'idillio campestre e leopardiano realizzato da Bellini. A me sembra che una messinscena della «Sonnambula» debba richiedere il paesaggio, o almeno la presenza, anche solo allusiva, di aria, luce, fiori, prati, luna, ruscelli, cascate; un ambiente, insomma, che presta al canto più lirico di tutto il melodramma italiano un gioco continuo di echi e misteriori riverberi. Ma un fondale e un siparietto dipinto non bastano a suggerire la natura. E poi Amina addormentata passeggia banalmente su un semplice architrave, ben lontano da quel gigantesco marchingegno ligneo fatto di assi sovrapposti che vorrebbero essere le pale del mulino, e al quale qualche spettatore ipersofisticato ha prestato valenze simboliche, osservando che, probabilmente, rappresentava i vari piani in cui si articola il sogno della sonnambula. Ipotesi azzardata... a meno che tutto in questa regia fosse da decrittare in chiave simbolica: nel qual caso mi dichiaro impari al compito. Paolo Gallarati Il suono è bello e espressivo ma la regia di Avogadro e le scene di Andrico non concedono nulla al sentimento

Luoghi citati: Pesaro, Torino