L'invettiva? Meglio contro anonimi di Beniamino Placido

L'invettiva? Meglio contro anonimi dietro le quinte. Da Raboni a Ferrarotti, l'arte dell'allusione diventa una nuova tendenza culturale L'invettiva? Meglio contro anonimi Intellettuali scatenati, ma senza far nomi E' tutto, tranne il nome e cognome. Giovanni Raboni, sul Corriere del la Sera non risparmia ironie e sarcasmi bersalid il i gliando «il periscopio domenicale di un grande quotidiano». Protagonista della discussione estiva sulla giovane narrativa italiana, rintuzza con piglio determinato le accuse di chi «sa (e lui, il capitano Nemo, lo sa meglio di tutti) che queste cose si sono dette e fatte "sempre, a ninno una volta al giorno, negli ultimi duecento anni"». E contrattacca anche, Raboni, dicendo che se pure i partecipanti al di-_ battito estivo sulla letteratura pulp vengono «collettivamente imputati di aver fatto ricorso» a un linguaggio «alto (altezzoso)» e di aver dato fiato a un estenuato «problemismo», tuttavia è pur sempre meglio il «problemismo» dello «snobismo finto-inglese»: «Se dovessi scegliere tra queste presunte e ipotetiche nefandezze e la supponenza travestita da leggerezza, la retorica del "tutto è già stato detto e a me risulta" che trasudano dalla prosa del sommergibilista domenicale, non avrei esitazioni: meglio, mille volte meglio problemista che scettico blu». Posizione comprensibile, chi può negarlo? Ma che sarebbe ancor più comprensibile, e forse persino condivisibile, se l'infuriato Raboni avesse concesso al lettore il privilegio di conoscere la vera identità del «periscopio do- manicale di un grande quotidiano» e del «sommergibilista domenicale»; che poi altro non è che Beniamino Placido, che sulle pagine culturali del quotodiano La Repub blica tiene appunto una rubrica intitolata «Nautilus» e che domenica scorsa ha vigorosamente preso in giro taluni tic verbali e mentali affiorati nel corso della discussione sulla giovane narrativa italiana e in particolare su Aldo Nove. E allora, perché Raboni non ha ritenuto opportuno fare il nome, peraltro molto conosciuto, del bersaglio delle sue polemiche? Celare l'identità dell'interlocutore non è forse un topos della retorica del disprezzo, una manifestazione di deliberata mancanza di rispetto nei confronti dell'avversario con il quale si incrociano le lame della polemica? C'è chi, malignamente, evoca la celeberrima scena deH'«americanista Bonetto» che, nella Donna della domenica di Frutterò & Lucentini, pensa intensamente, mentre i muscoli vengono impegnati da defatiganti esercizi al vogatore, alla frase più perfida con cui infilzare, senza mai nominarlo, il collega accademico che aveva osato stroncare un suo lavoro. I più esagerati evocheranno i metodi in voga nei partiti illiberali in cui il dissidente viene fatto a pezzi senza che nemmeno gli sia riconosciuta la dignità dell'interlocutore armato di nome e cognome. Ma, appunto, si tratta di esagerazioni. Quando invece prende piede l'arte dell'allusione, il metodo della denuncia intellettuale contro anonimi per suscitare la curiosità del pubblico e moltiplicare l'effetto polemico nei confronti dell'interlocutore innominato, fatto oggetto perciò di infiniti pettegolezzi, allora vuol dire che si sta imponendo una nuova tendenza culturale. Del resto, ci vuole una collaudata destrezza per agire con la maligna maestria del sociologo Franco Ferrarotti il quale, scrivendo a Indro Montanelli sul Corriere della Sera, svela solo nelle ultime righe della missiva il senso nascosto di alcune sue considerazioni polemiche a proposito del calvinismo contenute nella prima parte della lettera: «E' ciò che ella fa giustamente osservare al lettore ed è anche ciò che, purtroppo, insigni studiosi da noi, come il Pellicani, sembrano ancora piuttosto lontani dall'aver capito» (e nella sua risposta Montanelli aggiunge di suo, riferendosi al passaggio sul collega di Ferrarotti, Luciano Pellicani: «Ora però con Pellicani se la vede lei»). Ma nelle discussioni culturali e giornalistiche prevale con sempre maggiore frequenza il rito dell'allusione di non immediata decifrazione, la reiterata volontà di evitare la consuetudine della polemica corredata di nomi e cognomi. Invitato a rivelare l'identità del suo innominato avversario, Tiziano Terzani non ha voluto rendere esplicito ciò che viene scritto nel suo libro pubblicato da Longanesi, In Asia, e cioè che «uno dei più noti falsari resta uno dei giornalisti più pagati d'Italia». Sulle pagine della rivista Reset, l'ex direttore di Mondoperaio Federico Coen scrive una lettera aperta molto risentita a Jiri Pelikan, l'esponente del dissenso cecoslovacco che ha appena pubblicato un libro-intervista con Antonio Carioti dal titolo Io, esule indigesto: «Sono rimasto offeso dal silenzio che in quella intervista hai mantenuto circa il ruolo mio personale e quello della rivista Mondoperaio da me diretta (1973-1984) in merito alla valorizzazione della Primavera di Praga». E poi, prosegue Coen, «la costituzione del Comitato di solidarietà con la resistenza afghana» fu dovuta «non, come tu dici, a un'iniziativa personale tua e di Carlo Ripa di Meana, ma a un'ini ziativa ufficiale della rivista»;Ed ecco spuntare, un po' di righe più in là, l'allusione senza nome: «Si ricava dalla tua intervista, caro Jiri, l'impressione che nell'area socialista l'attenzione e la solidarietà per il tuo lavoro e quello dei tuoi compagni di sventura fossero limitati a Craxi e ai suoi intimi». Il riferimento implicito, in questo caso, è al precedentemente nominato Carlo Ripa di Meana che infatti aveva organizzato, con l'edizione della Biennale veneziana dedicata al dissenso nell'Est, uno dei momenti di maggiore frizione culturale tra il psi di Craxi e il pei di Berlinguer. E a chi si riferisce su Repubblica il critico Irene Bignardi quando dal Festival di Venezia riferisce di «un Lido invaso da entusiastiche dichiarazioni circa l'ottimo stato di salute del cinema italiano»? I più maligni azzardano l'ipotesi che tra le voci più «entusiastiche» e patriottiche sia da annoverare quella di Natalia Aspesi, inviata a Venezia per lo stesso giornale di Irene Bignardi. Ma la polemica contro anonimi abmenta i pettegolezzi più inverosimili. Pierluigi Battista Ironie, malignità, insinuazioni nascoste: così si suscita la curiosità del pubblico e si moltiplica l'effetto polemico nei confronti dell'interlocutore innominato tranne il nome e cognome. Gioanni Raboni, ul Corriere del a Sera non riparmia ironie e arcasmi bersaliando «il perie di un grande tagonista della a sulla giovane a, rintuzza con to le accuse di pitano Nemo, lo che queste cose tte "sempre, a al giorno, negli anni"». E conRaboni, dicendo rtecipanti al di-_ manicale di un grande quotidiano» e del «sommergibilista domenicale»; che poi altro non è che Beniamino Placido, che sulle pagine culturali del quotodiano La Repub blica tiene appunto una rubrica intitolata «Nautilus» e che domenica scorsa ha vigorosamente preso in giro taluni tic verbali e mentali affiorati nel corso della discussione sulla giovane narrativa italiana e in particol Ald Ndomenica di Frutterò & Lucentini, pensa intensamente, mentre i muscoli vengono impegnati da defatiganti esercizi al vogatore, alla frase più perfida con cui infilzare, senza mai nominarlo, il collega accademico che aveva osato stroncare un suo lavoro. I più esagerati evocheranno i metodi in voga nei partiti illiberali in cui il dissidente viene fatto a pezzi senza che nemmeno gli sia riconosciuta la dignità dell'interlocutore armato di nome e cognome. Ma, appunto, si tratta di esagerazioni. Quando invece prende piede l'arte dell'allusione, il med dll di illlIronie, malignità, insinuazioni nascoste: così si suscita la curiosità del pubblico e si moltiplica l'effetto polemico nei confronti dell'interlocutore innominato della missiva il senso nascosto di alcune sue considerazioni polemiche a proposito del calvinismo contenute nella prima parte della lettera: «E' ciò che ella fa giustamente osservare al lettore ed è anche ciò che, purtroppo, insigni studiosi da noi, come il Pellicani, sembrano ancora piuttosto lontani dall'aver capito» (e nella sua risposta Montanelli aggiunge di suo, riferendosi al passaggio sul collega di Ferrarotti, Luciano Pellicani: «Ora però con Pellicani se la vede lei»). Ma nelle discussioni culturali e giornalistiche prevale con sempre maggiore frequenza il ri dll'lli di i Da sinistra, Giovanni Raboni e Beniamino Placido

Luoghi citati: Asia, Italia, Meana, Praga, Venezia