Rifondozione, resa dei confi di Antonella Rampino

Rifondozione, resa dei confi Rifondozione, resa dei confi Cossutta: Fausto pronto a un «accordicchio» IL TRAVAGLIO NEOCOMUNISTA E ROMA a un certo punto, nell'anticamera della sala del Consiglio dei ministri si sentì un urlo. Di Fausto Bertinotti: «Ma qui delle 35 ore non c'è traccia!». E' stato il momento più teso di tutta la lunga riunione miziata, come riferiranno poi alcuni partecipanti, in una situazione di «incomunicabilità». E che la maggioranza da una parte, e Rifondazione dall'altra, parlassero ormai linguaggi differenti, almeno in materia di politica economica, era noto da giorni. Tanto che ieri mattina, a un pugno di minuti dal vertice, s'è diffusa ima voce: che Bertinotti avesse avuto mi colloquio riservato con Enrico Micheli, braccio destro di Prodi e titolare del fantomatico ma attivissimo «dicastero per le relazioni diplomatiche con Rifondazione», nel quale il sottosegretario alla presidenza del Consiglio avrebbe cercato di mettere il signor no della maggioranza alle strette. Le cose che ti proporremo sono un po' meno di quelle uscite sui giornali in questi giorni: dicci subito se ti interessano, e noi arriveremo fin dove possiamo, era il ragionamento di Micheli. Non confermata da nessima fonte, questa storia spiega bene l'animo con cui Bertinotti si è seduto al tavolo del governo: sapendo che sarebbe stata dura. E così è stato, sia pure con Massimo D'Alema nell'insolita veste di alleato. E' stato il segretario dei Ds a chiedere al governo che, in quanto ad aumento delle pensioni sociali, si potesse arrivare a centomila lue al mese. E se è toccato allo stesso Bertinotti forzare la mano sulle 35 ore, la risposta di Prodi non ò stata proprio incoraggiante. Come si era detto, avvieremo l'iter parlamentare, ha precisato il presidente del Consiglio. Il che, con i tempi per l'esame dei provvedimenti legislativi che ci sono in Italia, può voler dire le calende greche. All'uscita da Palazzo Chigi, Bertinotti ha dato un passaggio in auto a D'Alema. Ma non appena il segretario è sceso a Botteghe Oscure, con i suoi Fausto si è sfogato. «E' tutta panna montata. Ci sono solo 100 mila lire in più alle pensioni sociali, i libri di testo a carico dello Stato per le famiglie più povere, altro che intervento organico per il lavoro!». Stesso copione nel quarto d'ora scarno della riunione di segreteria. C'erano Cossutta, Diliberto, Rizzo e un unico bertinottiano, Paolo Ferrerò. Cossutta ha ascoltato in silenzio, e solo all'uscita ha dichiarato, con malcelato e moderato ottùnismo, «confido nella volontà di innovazione del governo». Il mutismo di Cossutta e dei cos- suttiani, in una segreteria-lampo che ha rinviato a stamattma la discussione politica sull'incontro a Palazzo Chigi, è interpretabile come scetticismo. Nessuno crede che Bertinotti possa davvero rompere con la maggioranza. Anche se qualche volta la fiducia si traveste in speranza, chi ha assistito personalmente al discorso con il quale il segretario riferiva della riunione con la maggioranza ha notato toni e sfumature «da sindacalista». Nel senso per cui i sindacalisti al padrone dicono sempre «non ci siamo, non va bene», ma poi firmano. E' lo spettro dell'accordicchio che Cossutta ha esplicitamente usato, negli ultimi tempi, con Bertinotti: per pungolarlo a portare a casa miglori risultati, la famosa «svolta», e per stanarlo nella sua ansia di rottura Con il rischio, per Bertinotti, di essere comunque, in un caso o nell'altro, passato per le armi. Perché mentre le sorti del governo si decideranno ai primi di ottobre, quando si terrà il comitato centrale del partito, unica sede deputata a decidere se Rifondazione esce o resta nella maggioranza, le sorti del partito e del suo segretario saranno oggetto di una partita molto più lunga. Le squadre sono già in campo. Mentre Cossutta era in Russia, si sono schierati apertamente con Bertinotti 14 segretari regionali del partito. La minoranza trockista si è già divisa in due, con un complicatissimo rituale di posizionamento e presa di distanza. La nomenkJatura è in subbuglio. Senza avvisare l'interessato, ma con un semplice fax all'Associazione stampa parlamentare, ieri Bertinotti ha destituito il capo ufficio stampa di Rifondazione, Gianni Montesano, e lo ha sostituito con l'ex giornalista dell'Unità Ritanna Armeni. E ieri Montesano ha messo piede ai pari ito nel molo, inventato su due piedi, di «consigliere del presidente», cioè di Cossutta. E li; prese di posizione politiche non sono meno bellicose. Cossutta, nelle scorse settimane, ha spostato con una pesantissima uscita pubblica l'asse del dibattito: il problema di Rifondazione non è più se stare nella maggioranza o andare all'opposizione, ma quale politica fare, e quale partito diventare. E' l'estremo tentativo di bloccare la tentazione più forte che Bertinotti sembra voler perseguire. Un progetto ambiziosissimo: uscire dal governo, andare all'opposizione, cambiare l'elettorato di Rifondazione. Non più comunista, ma antagonista. E dunque, cercare di pescare voti tra chi non vota. Un'ambizione che, in passato, è stata di molti segretari politici, e che non ha mai dato buon esito. Chissà se per Bertinotti i ragazzi dei centri sociali metterebbero la scheda nell'urna? Antonella Rampino Il leader di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti In alto: un'immagine del vertice di maggioranza sulla Finanziaria

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