Un capannone tutto di larice

Un capannone tutto di larice ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE Un capannone tutto di larice Polemiche a Brindisi per l'ipotesi di demolizione TRAi tanti dilemmi dell'archeologia industriale, uno riguarda un capannone in legno (realizzato nel 1934, completamente in travi di abete, con copertura in eternit), della ex Montecatini, situato presso il porto di Brindisi. E' una costruzione lunga oltre 200 metri e alta 30, rara per la tipologia del materiale usato e per le bellissime forme. Abbandonato da molti anni (serviva da magazzino per prodotti chimici in polvere), è ora in condizioni di estrema precarietà, e l'eventuale recupero comporterebbe costi elevatissimi. Tuttavia la sua demolizione (che dovrebbe, comunque, essere preceduta e accompagnata da ogni possibile documentazione) viene osteggiata da gran parte dell'opinione pubblica, che chiede a gran voce il salvataggio. Il tema del recupero e del riuso dei complessi industriali dismessi costituisce - oggi - uno degli aspetti principali del dibattito sulla nuova urbanistica. E mentre fino a pochi anni fa la ricerca delle soluzioni si basava perlopiù su concetti utilitaristici e architettonici (talvolta legati a fini speculativi) che ignoravano l'esigenza di salvaguardare la memoria dei processi dell'industrializzazione, ormai la componente culturale del patrimonio archeo-industriale fa sentire in crescendo il suo peso nelle scelte da adottare. I motivi di questa maggiore sensibilità sono molteplici: anzitutto l'impegno di quei pochi e spesso inascoltati cultori che hanno svolto opera di studio e di divulgazione; poi la maggiore attenzione da parte del ministero dei Beni Culturali che, nel 1994, ha istituito una apposita commissione nazionale; inoltre, l'attivazione delle prime cattedre universitarie della materia (Lecce e Viterbo) con il conseguente inquadramento disciplinare scientifico e metodologico. Il crescente successo di tale insegnamento - che fa parte delle nuove facoltà di Beni Culturali - sta a dimostrare quanto interesse l'archeologia industriale riscuota tra i giovani. A queste motivazioni essenzialmente italiane si aggiungono i successi di varie iniziative di recupero attuate all'estero, e, soprattutto, il riconoscimento di «sito protetto» da parte dell'Unesco, per alcune aree industriali di valore collettivo e universale. Di queste fanno parte - oltre al complesso di Ironbridge, in Inghilterra, che rappresenta il simbolo stesso della rivoluzione industriale alcune miniere della Francia, della Polonia e della Bolivia; e per concessione recentissima il parco geo-minerario della Sardegna. Come è intuibile, i risultati positivi sono bilanciati da operazioni di corto respiro, per lo più a causa di scelte che non tengono conto dell'economia del sistema, ossia della necessità che la salvaguardia e il riuso dei beni possano mantenersi autonomamente nel tempo e non costituire soltanto fenomeni episodici destinati a ricadere, prima o poi, nel degrado. In realtà, le scelte non sono mai facili; e, a volte, sono influenzate da fattori emotivi che turbano la razionalità. In generale, come è ovvio, non tutto si può salvare; e questa consapevolezza comporta per coloro che devono prendere le decisioni - non soltanto un sufficiente controllo dei sentimenti, ma anche una adeguata preparazione nel settore degli studi di fattibilità. Al tempo stesso vi è l'esigenza di uniformare i criteri di valutazione, eventualmente con l'ausilio di parametri la cui scelta andrebbe concordata su base internazionale. In mancanza di una volontà comune in tal senso, continueremo ad assistere ad operazioni di buona volontà che spesso, però, poco hanno a che vedere con la «disciplina scientifica» che si chiama «archeologia industriale». Gino Papuli

Persone citate: Gino Papuli

Luoghi citati: Bolivia, Brindisi, Francia, Inghilterra, Lecce, Montecatini, Polonia, Sardegna, Viterbo