UNA COMETA ALLA FINE DI TUTTE LE STRADE di Luigi Forte

UNA COMETA ALLA FINE DI TUTTE LE STRADE UNA COMETA ALLA FINE DI TUTTE LE STRADE Con Annemarie Schwarzenbach in Persia A scrittrice Annemarie Schwarzenbach era nata per creare un mito: quello dell'angelo decaduto. Il suo paradiso era la Terra: la splendida casa di Bocken, il grande parco, il lago di Zurigo, la città dov'era nata nel 1908. E poi la Parigi degli Anni Venti e la Berlino dei teatri e cabaret, in compagnia di Erika e Klaus Mann, figli del grande romanziere, con i quali andò in giro per mezza Europa. Viaggiava a bordo di auto favolose, in una realtà che profumava di sogno: Victory, Buick, Ford, doni del padre Alfred, magnate dell'industria tessile, e del marito Claude Clarac, diplomatico francese, come lei più sensibile all'omofilia che al ménage familiare. La madre, che deprecava il suo essere donna, amava vestirla da bambino, da paggio. Come il Cherubino delle Nozze di Figaro o l'Octavian del Cavaliere della rosa di R. Strauss. Silhouettes incerte, morbide sagome transessuali. E lei, adolescente un po' malinconica e solitaria, tradusse quelle vaghe aspirazioni in una severa e stilizzata divisa: taglio di capelli con sfumatura alta, abbigliamento vagamente maschile, sguardo da «bel tenebroso». Se ne accorse anche Thomas Mann, che annotò nei diari: «Strano, se fosse un ragazzo, la si dovrebbe considerare insolitamente carina». Ma dietro quella maschera non pochi intuirono un demone oscuro, il presagio di una fatale incrinatura. La viaggiatrice svizzera Ella Maillart, che nel 1939 l'accompagnò in Afghanistan, scrisse: «Il suo sguardo lasciava presagire un'anima, la cui bellezza era ogni cosa, spesso ferita dalle dissonanze del mondo (...). L'entusiasmo, la simpatia e l'amore potevano portare questi occhi a sfavillare (...) ma io non li ho mai visti sorridere». E la grande fotografa Marianne Breslauer, assistente di Man Ray, che conobbe la Schwarzenbach nel 1931 e la fotografò più volte1 (una mostra fotografica si apre il 23 settembre presso il Centro culturale svizzero di Milano), fu sconcertata dalla sua vista: «... m'apparì come un essere d'un tipo mai incontrato prima. E se m'avessero detto che era l'Arcangelo Gabriele alle porte del paradiso, l'avrei creduto. Infatti non era come una donna o un uomo, ma come un angelo...». Ma Annemarie, essere androgino con un piede nella mondanità intellettuale e un'anima dispersa per il mondo, era l'«angelo devastato», come scrisse Thomas Mann nel settembre del 1938. Da anni ormai combatteva un'inutile lotta contro la droga. Alla morfina l'avevano iniziata i giovani Mann a Berlino. L'angelo inconsolabile, che anche Roger Martin du Gard vide in lei, era ormai un demone autodistruttivo. Ricca e affascinante, laureata in storia, aveva iniziato a scrivere a Parigi novelle tuttora inedite, pubblicando poi nel 1931 il romanzo Amici di Bernhard. Ne seguì un secondo, nel 1933, Novella lirica, nato dall'infatuazione per una cantante. E poi molti reportages, con la Breslauer sui Pirenei, con l'amica Hamilton-Wright in America. Nacquero pagine di grande qualità anche dai suoi soggiorni in Asia Minore, fra Turchia, Libano, Iraq. Era imprevedibile e oscillante: fra il suo rifugio di Sils-Baselgia nell'alta Engadina e i deserti dell'Asia, fra le cliniche in cui veniva inutilmente disintossicata e i voli liberatori in una scrittura sospesa fra autobiografia,/ìction e racconto di viaggio. E' questa l'atmosfera del romanzo Morte in Persia, il primo della Schwarzenbach che esce ora in italiano. Ma già s'annunciano presso Luciana Tufani Editore un altro testo narrativo, La valle felice, e una biografia a cura di Areti Georgia- dou, La mia vita va in mille pezzi. Più che leggere i romanzi, vien voglia di sfogliare la sua vita, l'opera più epica che questa ricca borghese un po' snob con la vocazione per l'esotismo e l'avventura s'è lasciata dietro. Una scia di trasgressioni e intemperanze, di frequentazioni che contano (da André Malraux ai Mann, dalla grande interprete brechtiana Therese Giehse, alla scrittrice americana Carson McCullers, che l'amò non ricambiata), di atti distruttivi (un omicidio e un suicidio andati a vuoto), di peregrinazioni senza meta. La narratrice di Morte in Persia vorrebbe raggiungere il cuore del mondo, la fine di tutte le strade. Ma per quanto vada indietro nel tempo, fra le rovine di Persepoli e la memoria della dmastia degli Achemenidi, non troverà mai l'inizio. La strada del ritorno, come nel grande Kleist, è sbarrata. In uno stile troppo rapsodico e impressionistico, la scrittrice che abbozza queste pagine intorno al 1935 trasforma l'incanto dei paesaggi orientali in un arabesco irreale, nel simbolo stesso di una condizione umana. E' la testimonianza di mio sconcerto, di mia solitudine che nessun giardino da Mille e una notte riuscirà mai a mitigare. Annemarie Schwarzenbach era una cometa solitaria, ha detto qualcuno, come Rimbaud e Lawrence, in una tragica corsa devastante verso la disperazione. A nulla serve nel romanzo l'amore impossibile di Jalé, figlia di un ambasciatore turco. A nulla l'astrale lontananza dalle proprie radici. La lotta con l'angelo, che è imo dei rari attimi di fiction, lascia la protagonista sul terreno, svuotata in una terra di mortale grandezza. Tentativi d'amore, ribellioni, smarrimenti: ogni cosa s'aggrappa al cuore tenebroso del mondo e proclama l'impotenza della creatura. Questo libro, ma certo molte altre sue pagine, sono mi unico, ossessivo confronto con l'angelo della morte, che la rapirà dopo una banale caduta dalla bicicletta in Engadina nel novembre del 1942. Scrittrice «maledetta», morfinomane, amica e sostenitrice della resistenza e di molti esuli, presente al primo congresso degli scrittori sovietici a Mosca nel 1934, oggi figura «kult» in Francia e nei Paesi di lingua tedesca, Annemarie Schwarzenbach resta un enigma della vita, in cui, come diceva, «non v'è altra giustizia che saper essere grati al dolore». L'angelo decaduto lo coltivò sognando una felicità che nessuna fuga poteva ricostruire. Luigi Forte MORTE IN PERSIA Annemarie Schwarzenbach trad. di Chiara Guidi postfazione di Elisabetta d'Erme Edizioni e/o pp. 144, L. 22.000