L'OMBELICO COME SPECCHIO PER GLI IDIOTI DI TOOLE di Ruggero Bianchi

L'OMBELICO COME SPECCHIO PER GLI IDIOTI DI TOOLE L'OMBELICO COME SPECCHIO PER GLI IDIOTI DI TOOLE L caso di Una banda di idioti di John Kennedy Toole ricorda sorprendentemente, per molti versi, quello di II giovane Holden di J. D. Salinger. Opere, entrambe, di autori (quasi) esordienti e comunque alla loro prima esperienza nel campo della narrativa lunga. E scritte, entrambe, da artisti irrequieti e verosimilmente nevrotici, non disposti l i Ci ttti di S a campare sulla sinecura del loro primo successo. Conosciamo tutti, di Salinger, la scelta di centellinare i propri scritti e di difendere la sua scelta esistenziale, una sorta di coleridgiana morte-in-vita. Ma pochi sanno della fine di Toole, nato nel 1937 e suicidatosi nel 1969, a soli trentadue anni, lasciando alla madre il compito di trasformare in bestseller e in classico moderno un libro che forse non pensava di poter mai pubblicare e che, negli Stati Uniti, uscì grazie soltanto al parere autorevole (sebbene segretamente perplesso) del celebre critico Walter Percy, che firma anche l'introduzione all'edizione italiana. Ma le analogie non si fermano qui. Sia II giovane Holden che Una banda di idioti pongono, fin dal titolo, grossi problemi alla bravura dei traduttori. Il primo alludendo, con la dizione originale di Tne Catcher in the Rye, alle figure del baseball e alle coltivazioni del mais; il secondo chiamando in causa, sotto la formula di A Confederacy of Duncies, la realtà di un Sud «confederato» nella Guerra Civile e l'indimenticato poema di Alexander Pope, The Dunciad (1728), un capolavoro satirico inglese del primo Settecento che nessuno oggi legge come nessuno oggi legge il Parini e, probabilmente, per le stesse ragioni. Come se non bastasse, ai due romanzi è toccata di fatto la medesima sorte in Italia. The Catcher in the Rye di Salinger, uscito nel 1952 nel nostro Paese con il titolo Vita da uomo (Casini editore, traduzione di Jacopo Darca), divenne un bestseller grazie alla nuova edizione di Einaudi del 1961 (trad. di A. Motti). A Confederacy of Duncies passò inosservato dal pubblico una quindicina di anni fa, sebbene Luciana Bianciardi vincesse, per la sua traduzione oggi ripubblicala in altra cornice, il Premio Monselice 1983. In questi richiami scarni si condensa forse tutta la storia della narrativa americana degli ultimi venti o trent'anni, dominata da bestseller imposti dalle scuole di creative writing e dalle leggi di un mercato editoriale che, quando non punta sulle attese e le richieste del pubblico, si orienta per legge economica verso i giovani «cannibali». Eppure, quali che siano i calcoli sotterranei delle case editrici, si ha l'impressione che a un qualche livello essi siano sbagliati, soprattutto in tma prospettiva medio-lunga. Una banda di idioti è un libro destinato a restare per molto tempo in catalogo, come i più brillanti capolavori del cosiddetto «neogotico» (o neonero) sudista, a cominciare dai romanzi di Carson McCullers e dagli scritti di Tennessee Williams, o come gli esempi più significativi di una letteratura «postmoderna», teorizzata forse più in Europa che negli Stati Uniti, a partire da Lost in the Funhouse di John Barth (trad. it. La casa dell'allegria, di P. F. Paolini, Rizzoli 1974). Ignatius Reilly, mcrocio tra Gargantua/Pantagruel e Don Chisciotte/Sancho, è mi ipertrofico grassone della Louisiana ossessionato dagli spifferi d'aria e dai disturbi al piloro. Progetta un mondo a sua immagine, forse per vendicarsi dell'effetto negativo che la sua colite cronica gli ha procurato quando si è cimentato con l'università americana per ottenere un posto che, secondo una terminologia resa desueta dal ministro Berlinguer, oggi in Italia avremmo definito di «incaricato». Egocentrico e sfaticato, costretto a guadagnarsi da vivere in seguito a iperbolici incidenti provocati dalle sue patologie, tenta di dar corpo in Louisiana dapprima a mi nuovo Impero dei Mori (gli Afroamericani) e quindi a instaurare negli Stati Uniti un Gay Power pacifista capace di assumere il controllo del Congresso e della stessa Presidenza. Un sogno non del tutto irrealistico, visti certi prodotti della recente cinematografia d'Oltre Atlantico come Sesso e potere, dove le scelte dell'opinione pubblica si basano esclusivamente sulla credi¬ bilità dei media. Ma la differenza tra Una banda di idioti e Sesso e potere non è, in realtà, di poco conto. Ignatius non è mi cinico, ma un idealista che, sia pure per smisurato egoismo, non tollera alcuna forma di pragmatismo. La lotta, alla resa dei conti, si riduce dunque ancora una volta alla contesa tra la follia monomaniacale dell'egocentrismo e le distorsioni di mi establishment che ambisce soltanto alla propria sopravvivenza. E, naturalmente, tale disputa comporta in tutti i casi la sconfitta di chiunque si opponga a ogni forma di dittatura, individualistica o collettiva che sia, socialistica o pseudodemocratica. Ma se la logica contemporanea concede solo questo tipo di dialettica, perché stupirsi che chi se ne rende conto, magari proponendola in termini di paradosso come Toole, decida di non approfondire l'argomento e di togliersi la vita, lasciando ai familiari e agli agenti letterari il compito di sbrogliare la matassa e di decidere che cosa convenga fare? Ruggero Bianchi UNA BANDA DI IDIOTI John Kennedy Toole Marcos y Marcos pp. 374 L. 24.000

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