UN GRANDE ORECCHIO ASCOLTA IL POTERE

UN GRANDE ORECCHIO ASCOLTA IL POTERE UN GRANDE ORECCHIO ASCOLTA IL POTERE L'arte di intercettare: da Giolitti a Andreotti DAVVERO scripta manent e verba volant? Siamo tutti consapevoli del ruolo sempre più imponente assunto nel corso di questo secolo dalla comunicazione parlata rispetto a quella scritta. Poche volte - tuttavia - intuiamo esattamente come questo incremento contenga in sé l'eventualità, tutt'altro che remota, che le nostre parole non si dirigano solo verso i nostri interlocutori ma altrove: anziché disperdersi nell'aria o inserirsi fragilmente nei nostri ricordi ogni battuta - intercettata - potrebbe essere registrata, memorizzata in megarchivi computerizzati. Così catturata potrebbe, anziché volare, essere fermata per sempre, lungo un tempo indefinibile. Forse, per prendere consapevolezza di questa situazione nella quale siamo tutti immersi, ci si dovrebbe preparare adeguatamente ad un centenario che ormai è dietro l'angolo e che non può rischiare di essere ignorato. Infatti, tra una manciata d'anni, sarà trascorso un secolo dall'avvio delle intercettazioni telefoniche nel nostro Paese. Le prime centrali d'ascolto, addette a scippare conversazioni attraverso le linee telefoniche, vengono organizzate durante i governi Giolitti di inizio secolo. E' proprio lo statista di Dronero ad intuire come gli addetti alle centrali telefoniche, fino a quel momento incaricati di inserire manualmente gli spinotti che mettono in collegamento gli abbonati e di sorvegliare la regolarità della comunicazione, possano svolgere servigi ben più rilevanti. Giolitti arriva a questa considerazione attraverso un episodio che coinvolge, sgradevolmente, un suo ministro. Questi, alla vigilia di importanti deliberazioni governative su temi finanziari, chiama al telefono la moglie, che risiede a Genova, e le impartisce precise istruzioni affinché, utilizzando informazioni riservate, possa, con opportune operazioni in Borsa, rimpinguare le finanze della famiglia. La conversazione non sfugge ad un centralinista che, dopo aver preso sommari appunti, si fa ricevere da uno stretto collaboratore di Giolitti al quale riferisce l'accaduto. Le reazioni del premier sono immediate: rinvia le deliberazioni del governo (penalizzando così duramente chi ha pensato di speculare su di esse) e, successivamente, chiama a rapporto il ministro coinvolto e gli fa passare un brutto cinque minuti, minacciando di distruggere ogni sua futura ambizione politica. Ma, da grandissimo conoscitore dei meccanismi del potere, Giolitti capisce come, attraverso intercettazioni telefoniche siste- maticamente organizzate, possa disporre di un nuovo, efficacissimo strumento di condizionamento di alleati e avversari. Quello che verrà dopo - dalle megacentrali di ascolto allestite dalla polizia fascista di Bocchini sino alle intercettazioni del Sifar e del Sid per giungere sino ai raffinatissimi software di «filtraggio», attraverso parole chiave, delle comunicazioni telefoniche e telematiche - è solo la prevedibile conseguenza di quell'intuizione di Giolitti che, ovviamente, una volta perso il potere finisce, a sua volta, nel mirino degli intercettatoli. Del resto lo stesso Mussolini, nonché tutti i gerarchi del tempo, danno in pasto le loro conversazioni a quel «grande orecchio» che, instancabilmente, divora segreti strategici e sussurri amorosi, pettegolezzi di nobildonne e sordidi affari. E' un accostarsi di voci, segreti, bugie, drammi che confluiscono in un libro, L'orecchio del regime, scritto anni fa da Ugo Guspini, che a suo tempo era stato uno delle centinaia di intercettatori operanti per gli uffici riservati del ministero dell'Interno. Ripercorrere quello che si dicono al telefono Mussolini e Claretta è sconfortante ed esilarante al tempo stesso. Nelle ore che precedono la dichiarazione di guerra la Petacci chiama come ogni sera Mussolini. Mussolini risponde. Gli stenografi del centro d'ascolto, come al solito, registrano tutto: «Claretta - Tesoro mio... Che hai? Perché non parli? Forse non mi vuoi più bene? Non sei più "me"? Mussolini (gli stenografi sentono il suo respiro affannoso in cuffia, il silenzio, poi sbotta) Ma è mai possibile parlare di simili stupidaggini... quando, tra poche ore, potranno essere in gioco le sorti dell'Italia (riattacca il telefono). Pausa. Agli intercettatori parrebbe che, una volta tanto, il Duce abbia mostrato - come dire - gli attributi. Passa qualche secondo. Nuova comunicazione. Mussolini parla a Clara: Muss. - Scusami cara... comprenderai. Clar. - Non c'è nulla da perdonare, Ben mio... sono stata pro¬ prio un'oca e spero che vorrai perdonare al mio grande amore! Muss. - Al nostro immenso e infinito amore! Clar. - Buonanotte tesoro! Muss. - Grazie cara. Clar. - Cerca di riposare». Si spengono le luci. Tacciono le voci. All'indomani ci sarà la dichiarazione di guerra e il «grande orecchio», accanto alle voci dei due amanti, fisserà altri dialoghi smozzicati di un'Italia che s'avvia alla tragedia con farsesca leggerezza. I regimi passano ma gli intercettatori restano e rubano, minuto per minuto, tutte le parole di giorni tragici e densi di paradossi proprio come accade a Tonino, personaggio di quel gioiellino di sulfureo humor e di rigorosi riferimenti, che è Operazione via Appia appena pubblicato da Rizzoli. L'autore, Giulio Andreotti, con questo lavoro lieve e denso di sapienti allusioni si candida, dopo essere stato protagonista assoluto di mezzo secolo di storia italiana, ad indossare, peri prossimi cinquantanni, i panni del Michelet candido e luciferino storiografo della Prima Repubblica. Attingendo oltre che a personali ricordi a qualche provvidenziale archivio che si presume essere stato ben alimentato nel corso dei decenni. Se davvero qualcuno vorrà, tra poco, celebrare il centenario del «grande orecchio» dovrà - in un ideale percorso commemorativo - fare obbligato riferimento alla centrale di intercettazione del dottor «Laconi», delineata con tanta accurata fantasia da Giulio Andreotti in questa sua ultima opera. Poi, per non farsi ingoiare da un limbo che stempera ogni confine, sarà meglio che arretri sino al 1970: lì si potrà tuffare nelle immagini dei centri d'ascolto, dispiegati dalla Polizia contro la contestazione studentesca, che fanno da sfondo a Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, film memorabile diretto da Elio Petri su un soggetto scritto assieme a Ugo Pirro. Tra gli interpreti, con Florinda Bolkan e Salvo Randone, c'è Gian Maria Volonté. Nei panni di un commissario invasato declama il suo verbo: «Reprimere è il nostro vaccino. Repressione è civiltà». Il grande orecchio, mai stanco di parole, lo ascolta. Oreste del Buono Giorgio Boatti Quando Clorella chiamò il Duce alla vigilia della dichiarazione di guerra: «Tesoro mio... Che hai? Perché non parli? Forse non mi vuoi più bene? Non sei più Ine"?» Giulio Andreotti, autore di «Operazione via Appia», gioiellino di sulfureo humor

Luoghi citati: Dronero, Genova, Italia