DELITTO a BOGOTÀ
DELITTO a BOGOTÀ DELITTO a BOGOTÀ /£\ UATTRO anni fa, alla M 1» fiera del libro di Bo- B in ^ot^' ^° avut0 ^ P^a" H H cere di presentare Pà- h ginas de vuelta, il ■ n primo romanzo di vt HF <5uesto giovane scritti wS tore c°lombiano e ^8 W grandissimo amico dei suoi amici che è n) Santiago Gamboa. In quella occasione, mentre dicevo che era un piacere presentare un'opera come Pàginas de vuelta perché era scritta con audacia e qualità, raccontava una storia dall'inizio alla fine e, soprattutto, era un romanzo scrMri^^^^i-^lòn^iàtto che, "pur nascendo all'ombra di gigàrftr^éMtóM» Garcia Màrquez e Alvaro Mutis, riusciva a esprimersi con voce propria e originale, Santiago Gamboa accarezzava con fare nervoso e paterno una copia del romanzo, del suo primo romanzo, che odorava ancora di inchiostro. Poi l'ho visto firmare altre copie e scrivere dediche chilometriche, come se ogni lettore fosse un amico di vecchia data. Quando siamo usciti dalla fiera del libro, in un clima di festa, l'ho seguito fino a uria cabina telefonica. Santiago Gamboa ha composto lentamente il numero del nostro amato Osvaldo Soriano, e con voce emozionata gli ha raccontato che il suo romanzo era già in circolazione. E più tardi, festeggiando l'evento circondato da amici, non ha parlato di se stesso e tantomeno del suo libro. Ci ha raccontato quanto sentisse la mancanza dello scrittore peruviano Julio Ramon Ribeyro. Immagino che questo non debba stupirci: gli scrittori latinoamericani sono così, siamo così, il successo di uno appartiene a tutti. Quando il suo primo romanzo veniva venduto in tutte le città dell'America Latina, Santiago Gamboa si trovava a Parigi, come corrispondente di un giornale colombiano e conduttore radiofonico di Radio Francia Internacional. Alla fine di una nottata, ci siamo seduti in un caffè del boulevard Saint-Germain con José Manuel Fajardo e Antonio Sarabia. A un certo punto è arrivato Santiago Gamboa e ci ha stupito vederlo a testa bassa, piuttosto taciturno, forse persino triste, comunque in un atteggiamento ben poco abituale per lui che, probabilmente perché è il più giovane del gruppo, ci ha sempre contagiato con la sua allegria. «E' che ho appena messo il punto finale al mio secondo romanzo», ha detto, e lo abbiamo capito, perché non c'è niente di più terribile che finire un romanzo, accomiatarsi da lui, dai personaggi, dal mondo della storia che si racconta. Se c'è un alto prezzo da pagare nel mestiere dello scrittore, è proprio questo: l'odioso e lacerante momento del commiato definitivo. Il punto finale. Ci siamo spostati nel suo appartamento, e lì Perdere è una questione di metodo è passato di mano in mano. Lo abbiamo cominciato a leggere, scoprendo di trovarci di fronte a un grande romanzo scritto da un grande narratore. Nel frattempo, Santiago Gamboa ci ha servito rum con ghiaccio chiedendoci di fare con lui una serie di curiosi brindisi: prendeva un libro di Conrad, e non rendeva omaggio a Joseph bensì a «Pepito» Conrad, a «Julito» Cortàzar, a «Gabito» Garcia Màrquez, a «Emilito» Salgari. Conclusa la lettura e la bottiglia di rum, avevamo davanti a noi una pila di libri disposti in una sorta di altare. L'altare della letteratura, dei nostri maestri ai quali dobbiamo brindare con gratitudine e orgoglio. Perdere è una questione di metodo è il romanzo di una Bogotà marginale, percorsa, studiata e compresa da personaggi marginali, perché la genialità sarà sempre marginale nelle società governate dalla stupidità e dalla corruzione. Con questo romanzo, Santiago Gamboa si presenta come una delle voci più poderose della nostra letteratura. E' un romanzo dai dialoghi magistrali, di grande immediatezza, con una profonda conoscenza del mestiere di scrivere. Luis Sepùlveda
Luoghi citati: America Latina, Bogotà, Parigi
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