Violante, lezioni di fiducia contro l'Italia degli scettici

Violante, lezioni di fiducia contro l'Italia degli scettici la sfida. Nel nuovo libro, modelli, ambizioni e idiosincrasie del presidente della Camera Violante, lezioni di fiducia contro l'Italia degli scettici U N severo manuale di pedagogia civile contro lo scetticismo che investe la politica; ma anche un'occasione per una lettura, talvolta maliziosa, dell'attualità. Un saggio sui destini italiani come li intravede una delle massime cariche istituzionali. Carico di ethos repubblicano - quasi una risposta alle polemiche suscitate in Francia dall'appello degli intellettuali su Le Monde e dal dibattito apertosi in Italia sulla Stampa. Ma anche un pretesto, al dunque, per osservare tra le righe i gusti, le ambizioni, i modelli, le preoccupazioni, gli interlocutori, i tic e le idiosincrasie di uno dei protagonisti della vita pubblica: il presidente della Camera Luciano Violante, autore di L'Italia dopò il 1999 (Mondadori). Da cui appunto si apprende la passiono della terza carica dello Stato per gli storici francesi, l'ammirazione per Claudio Magris o per autori come Fenoglio e Calvino. E poi la risposta a certi stimoli di Giuliano Amato, un supplemento di domande a Remo Bodei, per poi planare a sorpresa, da Leopardi o Croce, su uno di quei tipici personaggi di Altan che forgiano paradossi di straniarne verità. Violante si prova a parafrasarlo: «L'Italia è capace di cose straordinarie. Dobbiamo sforzarci di fare quelle ordinarie, tutti i giorni dell'anno». Questo succede quando un personaggio in vista scrive un libro. Di solito, c'è da dire, i libri dei politici sono i peggiori: scritti in genere da «negri», fatti per non essere letti, ma «presentati» nei festival, «ripresi» sui giornali e «passati» in tv. In teoria dovrebbero certificare la capacità teorico-letteraria del politico, nonostante l'abbondanza di errori. Questo di Violante è tosto, ma anche senza nulla concedere alle suggestioni di brillantezza, fa eccezione. E non solo perché assomiglia straordinariamente al suo autore - o perché a parte una segreteria Forlani erroneamente situata nel 1980 risulta più che preciso. L'im- pianto è robusto, non raffazzonato; il protagonismo ridotto. Ma soprattutto resta sotto controllo il tasso eli astratta artificialità, se non di astuta finzione, che in linea di massima accompagna questo genere di pubblicazioni nemiche di ogni spontaneità. Qui, invece, nel capitolo sul fine ultimo della politica, Violante compie un salto di ispirazione, a tratti facendosi anche profetico. Il che aiuta a renderlo convincente con l'aiuto, c'è da dire, di papa Wojtyla, come lui fiero e speranzoso avversario dell'alleanza tra «relativismo etico» e democrazia. Un libro, tutto sommato, fiducioso. Il sottotitolo reca: La sfida per la stabilità. Quest'ultima intesa come categoria risolutiva della Grande Magagna italiana, filo rosso e resistentissimo che lega tra loro le faticose vicende del dopoguerra, la crisi attuale dei partiti, l'affanno del Parla¬ mento, l'incertezza in politica estera, la giustizia che accusa e che finisce sotto accusa in un Paese che ha sempre usato il diritto penale per risolvere questioni sociali e politiche, l'idea stessa d'Italia, quindi. L'Italia, ancora l'Italia che «ha danzato con eleganza sull'orlo dell'abisso»; l'Italia che come in una parabola è un campo con ottime piante, sassi ed erbacce: «Per ottenere un raccolto migliore - perciò - non basta curare le piante da frutto; occorre anche bonificare il terreno e strappare le erbacce». Liquidatorio - per tornare al¬ l'ordinaria malizia interpretativa - il giudizio su Craxi; molto più indulgente quello su Berlusconi; si parla molto dell'Euro (ma poco di Prodi e di Ciampi); insistito suona il rammarico per la fine della Bicamerale; la commissione De Mita neppure menzionata (la Bozzi sì). Poi la necessità di inserire il dialogo con gli avversari tra i valori fondamentali condivisi da tutti. E così si arriva a Fini (su cui è ricordato un riconoscimento dell'Anpi) e ai ragazzi e alle ragazze di Salò (con significativa, lunga citazione da un discorso di Togliatti nel 1947). Illuminante - e forse anche qui interpretabile con qualche richiamo d'attualità - il lungo e meticoloso elenco delle amnistie concesse dall'Unità a oggi. Risoluto il giudizio sulla Nato, scelta giusta a suo tempo, ma all'interno della quale «abbiamo vissuto in una subalternità non richiesta dal contesto internazionale e non necessaria al benessere del Paese, utile solo alla conservazione dei tradizionali equilibri di potere». Di sorprendente potenzialità polemica, sul piano della politica estera e del ruolo dell'Italia nel Mediterraneo, un accenno alla «funzione stabilizzante e legittimante» svolta dalla religione in molti Paesi islamici. Qui in Italia, come del resto in tutto l'Occidente, il rischio è invece di mercificare ogni cosa, ogni corpo, smarrire qualsiasi gerarchia di valori, perdere «il senso del sacro e del tragico». Fino a quando non si affermerà una nuova cultura fondata sulla persona: «Fine e limite della lotta politica». Filippo Ceccarelli «Si rischia di mercificare ogni cosa, di perdere il senso del sacro e del tragico» Una citazione nello stile di Altan: «Il nostro Paese è capace di cose straordinarie Dobbiamo sforzarci di fare quelle ordinarie tutti i giorni dell'anno» li presidente della Camera Luciano Violante pubblica da Mondadori «L'Italia dopo il 1999». Qui a fianco una vignetta di Altan, a sinistra papa Wojtyla