SAID-NAIPAUL

SAID-NAIPAUL I due intellettuali divisi dal giudizio sull'universo musulmano dove si scontrano modernità e tradizione SAID-NAIPAUL duello all'ombra dell'Islam DUE galli in un pollaio, specie se vivaci, sono destinati fatalmente a beccarsi. I contendenti sono 1 Vidiadhur Surajprasad Naipaul, uno dei maggiori scrittori di lingua inglese, ampiamente tradotto in Italia (parecchi titoli si trovano negli Oscar Mondadori) vincitore di un Mondello, e un prestigioso critico e storico delle idee americano, Edward W. Said, professore alla Columbia di New York. Naipaul, che ha sessantasei anni, è nato a Trinidad: di matrice indiana, discende da immigrati trasferitisi nella prima metà dell'Ottocento. Said, di tre anni più giovane, è invece un palestinese da tempo radicatosi negli Stati Uniti, e scrive in inglese. A lui si deve un libro chiave, Orientalismo, pubblicato in Italia da Bollati e Boringliieri, ove si demoliscono i luoghi comuni con i quali l'Occidente ha classificato la cultura islamica, e un altro grosso volume, altrettanto discusso e a mio avviso fondamentale, dal significativo titolo Culture & Imperialism. Naipaul lasciò ragazzo Trinidad per l'Inghilterra, e si trattò di una scelta programmatica ancor più che esistenziale. A suo avviso, espresso nei romanzi, tra cui spicca l'ormai classico Una casa per Mr. Biswas e in alcuni saggi, per la cultura e la società caraibica non esisteva altro futuro se non una perenne sudditanza nei confronti dei vecchi dominatori inglesi, che egli sintetizzava in mia parola: scimmiottatura. Said, nel suo dichiarato radicalismo, ha almeno tre fonti cruciali: Gramsci, la scuola di Francoforte e il radicale inglese Raymond Williams, a sua volta vicino a posizioni marxiste. Nel suo dibattito sulle culture post-coloniali o più in genere su quello che si chiama genericamente Terzo Mondo, Naipaul oltre che naturalmente all'India, ha guardato sempre con grande attenzione ai Paesi islamici, e all'Africa. Quasi venti anni or sono, da un suo viaggio per così dire operativo nacque un libro, Among the Believers (Tra i credenti), percorso da inquietanti curiosità e appassionato scetticismo. Ora egli ripercorre il viaggio, si reca negli stessi Paesi, l'Indonesia, la Malaysia, il Pakistan, l'Iran, e dal viaggio nasce un poderoso volume, Beyond Belief (Oltre la fede). Si badi bene: il nuovo libro è l'opera di un narratore, e sotto questo profilo va letto. In molti casi, Naipaul incontra le stesse persone di allora, e le fa parlare; anzi, le lascia parlare. Ecco Imaduddin, nel '79 un te- nace avversario del corrotto regime di Suharto, e ora entrato nell'establishment, con amici addirittura nel governo: «E' la volontà di Dio». 0, in Iran, lo Ayatollah Sadegh Khalkhali, definito «il giudice boia» per la facilità con cui mandava alla forca gli imputati, e adesso malato, posto ai margini, gli occhi bassi quasi che sollecitasse pietà dall'interlocutore. Perché Said se la prende con Naipaul, come aveva già fatto in Culture & Imperialism, ma con acre faziosità? (Lascio perdere il libro appena uscito contro Naipaul dello scrittore americano Paul Theroux, perché si tratta di pettegolezzo di bassa cucina). Perché, in sostanza, una tesi, o se volete un pregiudizio, Naipaul la espone. In sostanza, per lui i Paesi islamici non hanno autentico passato, guardano come unico modello alle «sabbie d'Arabia», la mitica casa madre. Così, oscillano tra le esplosioni fondamentaliste - termine che Naipaul usa con reticenza - e al contrario, non meno sterile e inaccettabile, vale a dire una supposta modernizzazione che, appunto, scimmiotta l'Occidente, e dunque non conduce a nulla. Un punto di non ritorno attende l'Islam. La vecchia fede si misura con una categoria ormai di moda, il «globalismo». Senza risultati. Said classifica da tempo Naipaul come un intellettuale del Terzo Mondo che si rivolge ormai all'Occidente, e gli fornisce un alibi: le colpe non sono del defunto imperialismo, ma onnai delle sue vittime. Posto che Naipaul è, anche personalmente, uomo di solidi pregiudizi, si tratta di una semplificazione. Chi legga L'enigma dell'arrivo di Naipaul (pubblicato in Italia da Mondadori) si rende conto che egli prende rigorosamente le distanze. Ma la sua ironia, il suo scetticismo, possono sembrare irritanti, e senza dubbio non offrono alternative. Pure, come scriveva Melville, da uno scrittore si sollecitano domande, non risposte. Sta di fatto che, alcuni anni or sono, lo stesso Salman Rushdie, un tempo ammiratore di Naipaul, aveva lamentato un suo graduale appannamento. Ma lo splendido Una via nel mondo (Adelphi) non era ancora uscito. Del resto, anche nei confronti di Rushdie, Said mostra in Culture & Imperialism qualche tiepidezza, e sostiene che la reazione in Occidente per la fatwa contro I versi satanici abbia in effetti sostanziato il solito alibi, utile per colpire l'Islam indiscriminatamente e con deliberata malafede. La fede equivale, in realtà, alla conversione e il sottotitolo è Among the converted Peoples, tra i convertiti. Ma quale conversione, si domanda Naipaul, in Paesi islamici, non arabi, e dunque già convertiti? Così, l'operatore di computer di Bandung, si rivolge a im guru per trovare conforto, tra modernità e tradizione. Il cristianesimo e l'islamismo, religioni rivelate, appaiono le più consolanti. Proprio qui si appunta Said, trovando le idee di Naipaul un autentico «suicidio mentale». Rimane curioso il fatto che, quasi specularmente, un simile dibattito si sviluppi fuori dell'Islam, in Occidente. Naipaul parte dalla sua residenza inglese; Said - e non è il solo - detiene una Cattedra prestigiosa e assai remunerata negli Stati Uniti. In quanto a Rushdie, la scrittrice e saggista indiana Gita Metha mi diceva un paio di mesi or sono perentoriamente: «Non è assolutamente più indiano»; d'altronde il suo retroterra islamico inesso continuamente in questione ne rende l'identità religiosa e culturale alquanto precaria e tormentata. Il premio Nobel, Derek VValcott, caraibico spesso contrapposto a Naipaul e anche per questo premiato con il Nobel, vive e insegna a sua volta negli Stati Uniti. Ma in definitiva, che cosa è l'Islam? Dal libro di Naipaul, le differenze profonde tra i vari Paesi oggetto del suo viaggio emergono vigorosamente. La modernità si i scontra con la tradizione. I contadini da secoli prima di procedere alla raccolta del riso tagliano sette steli e li appendono in casa. Non sanno più il motivo di una consuetudine che si ricollega a un passato perduto. L'Islam è fatto anche di queste domande. Claudio Gorlier L'ultimo libro dello scrittore caraibico racconta il Terzo Mondo in bilico tra fondamentalismo e occidentalizzazione Anche la fede rischia nell'era del globalismo Qui accanto V. S. Naipaul a sinistra Edward Said