«Su via D'Amelio inventai tutto» di Francesco La Licata

«Su via D'Amelio inventai tutto» Como, il principale teste d'accusa: di quella strage non so nulla, bugie costruite assieme alla polizia «Su via D'Amelio inventai tutto» Scarantino: avevo paura e volevo uscire di cella COMO DAL NOSTRO INVIATO «Tutte bugie, signor presidente. Ho inventato tutto assieme alla polizia. L'unica cosa di vero che c'è è la droga. Io sono all'altezza di far arrestare mezza Palermo coinvolta nel traffico della droga, ma della strage di via D'Amelio non so nulla. Non ho mai saputo nulla, mi sono inventato tutto perché avevo paura e per uscire dal carcere». Pesante come un macigno, arriva l'ultima «verità» di Vincenzo Scarantino, il «picciotto» della borgata della Guadagna (Palermo) che con le sue «rivelazioni» ha contribuito alle dure condanne comminate nel processo sugli esecutori materiali della strage del 19 luglio del 1992. Ieri, testimoniando al dibattimento che vede alla sbarra i cosiddetti mandanti, Scarantino ha cercato di dare uno scossone distruttivo all'impianto accusatorio. Anzi, è andato anche oltre accusando di comportamenti più che discutibili poliziotti del calibro del questore Arnaldo La Barbera (oggi questore di Napoli) e magistrati come Carmelo Petralia, Ilda Boccassini e gli stessi pubblici ministeri odierni Antonio Di Matteo e Anna Maria Palma. E tuttavia non una verità «limpida» quest'ultima, dal momento che risulterebbero manovre esterne e pressioni sul collaboratore, mediate da un professionista, forse un avvocato. Anche promesse di soldi: c'è il «balletto» di un prestito familiare che Scarantino quantifica in due milioni e mezzo «per spegnare alcuni oggetti d'oro», e i pubblici ministeri in ben quaranta mihoni. Al di là, tuttavia, della diatriba sulle pressioni - attribuibili, in verità più ad agenti esterni al processo che ad imputati già in passato aiutati dalla «intrinseca inattendibilità di Scarantino» - ha fatto una certa impressione la lunga ed instabile confessione del «ri¬ pentito». Turba la violenza delle accuse lanciate contro il gruppo di investigatori e contro i magistrati di Caltanissetta. Scarantino ha fatto una minuziosa ricostruzione del percorso che lo ha portato ad un pentimento, secondo lui, quasi obbligato. Dice di essere stato sottoposto, dopo l'arresto, a vere e proprie torture fisiche e psicologiche Paragona il trattamento carcerario subito a quello del film «Fuga di mezzanotte»: vermi sul cibo, urina nella minestra «che sembrava salata», «il dentista mi disinfettava con cotone usato tanto che mi hanno trovato l'epatite virale». E poi le minacce, anche - a suo dire da parte dei magistrati: «non usci¬ rai mai dal carcere», «perderai tua moglie e i tuoi figli». Tutto per indurlo non ad un generico pentimento ma, questa la parte più inquietante della ritrattazione, per sorreggere una verità precostituita messa insieme dagli mvestigatori. Dice Scarantino che i riconoscimenti delle foto degli imputati sono avvenuti su indicazioni dei poliziotti. Aggiunge che qualche imprecisione della sua improvvisata confessione è stata «aggiustata» in corso d'opera: «A casa mia e poi alla scuola di polizia». «Ogni volta che dicevo di voler tornare alla verità - denuncia - e cioè al fatto che ero innocente, arrivavano le minacce». In sostanza, non una delle persone accusate sarebbe colpevole. «Non conosco Scotto, non ho mai visto i Graviano. Carlo Greco lo vedevo perché stava nella mia borgata ma non ci ho avuto mai rapporti. Pietro Aglieri quando lo salutavo si voltava la faccia». E allora, perché li ha tirati in ballo? «Per fare numero, trenta imputati sono meglio di venti. Uno l'ho accusato perché suo cognato non mi aveva voluto rifornire di sigarette di contrabbando». Con una nonchalance impressionante, Scarantino dà di sé l'immagine di una macchina nelle mani dell'apparato investigativo. Al pubblico ministero Ilda Boccassùii, che indagò sulle stragi di Palermo, attribui¬ sce il suggerimento su una sigla che avrebbe poi consentito l'individuazione della bombola che fece esplodere l'utilitaria in via D'Amelio. Agli avvocati Scarantino ha risposto quasi con trasporto, tradendo il suo obiettivo, inizialmente svelato con la decisione di l'are a meno del paravento da pentito, che è quello di una sostanziale disponibilità a tornare in qualche modo nei ranghi mafiosi. A riprova della sua «aspirazione», la quasi consequenziale richiesta di essere riammesso in carcere, coi detenuti comuni. Ma coi pm in aula è stato aggressivo, l'ino a cercare di metterli a disagio accusandoli di averlo in- dotto a mentire. Poi, rivolto al presidente, ha aggiunto: «Questi stasera mi faranno ammazzare». Alla line ha sostenuto di avere le prove che la polizia lo metteva in condizione di «preparare» le deposizioni e di risultare infallibile nei riconoscimenti. Dice di aver in casa le copie degli album fotografici, datigli dagli investigatori perché imparasse a memoria i volti delle persone da accusare. La Corte ha respinto l'istanza dei difensori di una unmediatn perquisizione a casa di Scarantino. come pure l'istanza di scarcerazione per alcuni imputati detenuti sulla base delle sue dichiarazioni. Francesco La Licata «Sono stato sottoposto a torture fìsiche e psicologiche» «Non conosco le persone che ho fatto condannare all'ergastolo» Vincenzo Scarantino, «picciotto» della borgata della Guadagna (Palermo)

Luoghi citati: Caltanissetta, Como, Napoli, Palermo