Misteri d'un golpe abortito

Misteri d'un golpe abortito Misteri d'un golpe abortito Bizzarre coincidenze e molti sospetti TIRANA UN BURATTINAIO NELL'OMBRA DAL NOSTRO INVIATO L'eredità di un colpo di Stato fallito, orfano e ripudiato sono accuse velenose; scambi di insulti, di promesse, di minacce, di sospetti e una situazione politica opaca, di lettura difficile, pure un po' nauseante per chi non abbia dimestichezza con gli acrobatici giochi che si praticano nei Balcani. Ci sono stati morti, uno eccellente, perché era il braccio destro, armato di tutto punto, di Sali Berisha, capo indiscusso del partito democratico e dell'opposizione: ma da appena due giorni, quei martiri, come li chiamano quelli del partito democratico, li ricordano soltanto alcuni mazzi di fiori avvizziti, e lui, Azem Hajdari, il satrapo falciato sul marciapiede di ima sporca strada del centro mentre a piedi superava un mucchio di spazzatura, ha il conforto di due foto a colori e due corone con il nastro viola. Fino al tramonto, su quella strada sostavano quattro carri armati T54 made in China, arrugginiti ma con cannone e mitraglia ben oliati. Bottino di questa guerra-lampo appena accomiata che quelli del Pd avevano strappato ai lealisti per piazzarli poi a difesa della sede nuova del partito. «Li devono restituire, non guarderemo in faccia a nessuno», aveva tuonato il primo ministro Fatos Nano, promettendo fulmini, vendette e giustizia sommaria. Aveva anche aggiunto che «Berisha è il primo organizzatore del golpe. Ma noi non cambieremo di certo il governo perché lo chiede lui. Qualsiasi primo ministro che desse le dimissioni richieste sotto le raffiche dei mitra sarebbe un uomo senza ideali che tradirebbe il popolo e il suo Paese, e per questo io e il governo abbiamo rifiutato e rifiuteremo con sdegno ogni richiesta di lasciare il nostro posto presentata in simili condizioni. Lo faremo quando sarà il momento opportuno». Il fatto è che lui, Nano, non sembra il capo indiscusso della maggioranza: al contrario, oltre all'opposizione anche armata dei democratici deve fronteggiare attacchi continui in seno al partito socialista. Perché i vecchi, irriducibili sostenitori del socialismo reale, ala non secondaria dell'attuale partito del garofano, lo considerano poco meno di un traditore. Eppoi, qualcosa nel governo già sta mutando perché Arben Malai, ministro delle Finanze, ha gettato la spugna, sordo alle implorazioni del suo leader. Ma anche se già semidimenticata, la morte di Hajdari sembra il rompicapo attorno al quale gira la gran giostra albanese. Chi l'ha ammazzato? E perché? «Non c'è una sola ipotesi: ce ne sono almeno dieci, troppe», osserva Spartak Ngjela, del partito della legalità, filomonarchico e alleato dei democratici, già ministro della Giustizia e attuale presidente della Commissione di indagine sui fatti della primavera del '97, quella della sommossa conclusa con le elezioni e il tramonto di Berisha. Eppure, proprio quella raffica di kalashnikov sparata su Hajdari sembra il primo rigo di mi nuovo capitolo. Ngjela traccia im quadro vasto, parla di una lettera con la quale la Casa Bianca avrebbe avvertito Nano che non ci saranno incontri con i politici albanesi, considerato che la vita democratica a Tirana e dintorni è spenta: perché i socialisti avrebbero rivendicato l'eredità politica di Enver Hoxlia, perché la corruzione e il contrab¬ bando ancora prosperano, perché sono stati arrestati sei rappresentanti di spicco del partito democratico con l'accusa di crimini contro l'umanità. Risultato della lettera americana, sottolinea l'onorevole, il pronto allineamento del governo Nano sulle posizioni di Mosca e Belgrado per quanto riguarda il problema del Kosovo. In altre parole, per Tirana se l'autonomia rimane sacrosanta, la capitale del Kosovo è Belgrado, Serbia. «Tre giorni dopo la sterzata, ecco l'omicidio di Hajdari». E da questo, la rivolta di piazza, il golpe. «Ma quale golpe?», protesta Berisha. «Non c'è stato alcun colpo di Stato. Onesta è un'accusa fatta dal ministro che ha creato panico. Vorrei sapere come possa l'are un golpe un ex Presidente eletto dal popolo». Eppure, domenica, per sei ore, mezza Tirana ha rischiato di trasformarsi in un rogo: l'assalto al palazzo della Presidenza del Consiglio, con la gente che seguiva-le bare dei martiri che ha levato da sotto le giacche nutra e pistoloni; la fuga dei soldati di guardia; la conquista di carri armati; quella del palazzo della televisioni;; l'incendio del pian terreno della Presidenza del Consiglio. Ma in questo bizzarro golpe molte cose indicate come indispensabili dai manuali di guerriglia urbana paiono essere siate trascurate. Per esempio, l'uso della tv: è vero che Murat Basila, del partito della legalità, è apparso per dichiarare che «abbiamo la tv, i palazzi del potere, e la banda di Nano è scappata», e che Berisha ha aggiunto un'esortazione alla calma; ma è pure vero che il palazzo, di fronte all'ambasciata italiana, è rimasto per ore deserto. Poi, l'assenza della polizia, intervenuta soltanto a pomeriggio inoltrato, quando era già avvenuto un sistematico saccheggio dei negozi; e il silenzio del governo, rotto soltanto quando le ombre si erano impadronite di Tirana e le previsioni per la notte erano fosche porcile, dopo quattro morti e ventotto feriti, tutto pareva possibile. Le domande che rimbalzano qui a Tirana sono: Berisha ha cavalcato la tigre e ne è stato disarcionato? Oppine qualcuno lo ha usato per tagliare l'erba sotto i piedi di Fatos Nano? Del resto, l'altro giorno, Ben Blushi, portavoce del primo ministro, aveva dichiarato che «il Presidente della Repubblica Meidani porta avanti con l'opposizione trattative separate». E oggi? Berisha promette «una giornata molto difficile per Tirana». Ma ieri, sensibile alle pressioni dell'Osco e dell'Italia, che ha mandato alla sede democratica l'ambasciatore Marcello Spatafora, ha mollato le sue armi migliori: i carri armati. Vincenzo lessandoti Due momenti della manifestazione dei democratici contro il governo ieri mattina a Tirana Il corteo si è svolto senza incidenti In alto a sinistra, l'ambasciatore italiano a Tirana Marcello Spatafora