Il pentito Di Matteo di fronte al carnefice del suo bambino di Francesco La Licata

Il pentito Di Matteo di fronte al carnefice del suo bambino Como: oggi in aula incontra Giovanni Brusca, che ieri ha raccontato delle trattative tra boss e Stato nel '92 Il pentito Di Matteo di fronte al carnefice del suo bambino COMO DAL NOSTRO INVIATO Sara per via delta calma piatta del famoso lago, o chissà per quali misteriose esigenze di sicurezza, ma sta di l'atto che non si poteva scegliere sede più appropriala per un confronto che avrà poco di giudiziario e moltissimo di sanguigno e incancellabile odio tra uomini. Oggi in un tribunale di questa Italia quasi Svizzera, e quindi neutrale per definizione, una corte d'assise del profondo Sud (Caltanissetta) medierà il primo incontro-scontro fra i protagonisti di una delle piii dolorose vicende di mafia: l'uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo. Oggi si troveranno faccia a faccia Santino «padre doloroso», ex malioso, pentito, di nuovo mafioso ed oggi detenuto - e Giovanni Brusca, aspirante collaboratore mai accettato completamente dalla magistratura, ex capoclan, tanto cinico da aver premuto il pulsante della bomba che uccise Falcone, la moglie e la scorta, e ordinato di strangolare il piccolo Di Matteo e disciogliere il cadavere nell'acido. Oggi l'aula bunker di Como, piccola perche pensata per eventi normali, sarà palcoscenico di una tragedia siciliana. L'occasione e data da ima necessità processuale legata al dibattimento che dovrà giudicare i mandanti della strage nella quale persero la vita il giudice Borsellino e cinque uomini di scorta. Ma l'attenzione, ovviamente, è concentrata sui due nemici che dovranno sedere accanto, rispettosi del luogo e della corte d'assise. Non sarà un incontro. Si è capito ieri, durante i preliminari, quando il presidente Falcone si ò rivolto a Di Matteo anticipandogli che non saranno tollerati eccessi di alcun genere. Santino ha ostentalo una finta tranquillità ed una eccessiva disponibilità alla riflessione, ma poi non ha potuto fare a meno di commentare, rilerendosi a Brusca: «Sarò calmo, signor presidente Però non me lo posso cello abbracciare». Sarà attaccato duramente, Giovanni Brusca. Di Matteo non e tipo da approcci diplomatici. Eppure è anche questo il prezzo che Brusca dovrà pagare per ottenere il tanto inseguito programma di protezione. Nella sua posizione di «dichiarante» - una sorta di limbo tra confidente e pentito - non può certamente sceglierei i ruoli, le udienze e i processi. Ed è, questo, il prezzo che dovrà pagare per accreditarsi come uomo che vuol cambiare pelle. Accetterà, quindi, come espiazione pubblica, l'umiliazione delle offese che gli verranno da un uomo che ha tanto peccato come lui, ma risulta protetto, almeno nell'immaginario collettivo, dall'olocausto del figlioletto. Il confronto era previsto per ieri: è stato rinviato perché gli interrogatori separati dei due sono andati oltre il previsto. In particolare Brusca è stato sottoposto ad una fuoco di fila di domande che hanno avuto per oggetto l'ormai famigerata «trattativa» che lo Stato portò avanti, in piena offensiva stragista di Cosa Nostra, per indurre la mafia a far cessare gli attentati. Giovanni Brusca ha sostanzialmente confermato quanto è venuto fuori in altri processi. F. cioè che l'iniziativa è da attribuirsi ai carabinieri del Ros che usarono come intermediario l'ex sindaco Vito Ciancimimo, mentre Totò Buina «parlava» col medico e «uomo d'onore» Antonino Cina. «Riina - dico Brasca - voleva tornarsene tranquillo a Corleone», ma non poteva certo farlo da ergastolano. Ecco perché nel «papello allo Stato», cioè nelle richieste consegnate ai mediatori, in cima alla lista c'era la garanzia che fosse rifatto il maxiprocesso. E poi l'ammorbidimento del carcere duro, la promessa politica di proporre l'abolizione per legge dell'ergastolo. C'era già stato un primo «contatto» promosso dallo stesso Brasca. E la mafia offriva il recupero di opere d'arte in cambio della scarcerazione di 5 detenuti importanti: Gambi- no, Calò, Pullara, Brusca-padre e Luciano Liggio. Lo scambio, però, era stato giudicato troppo esoso per il più- debole Stato italiano. C'è ima novità nel racconto di Brasca. Il «dichiarante» colloca la seconda «trattativa» al centro fra le due stragi palermitane. Le bombe di via D'Amelio, quindi, sarebbero la diretta conseguenza del fallimento del negoziato. Anzi, dice Brasca, «Riina avrebbe voluto un'altra botta» così tentarono di far saltare in aria il giudice Piero Grasso. La mafia dovette rinunciare perché il magistrato abitava troppo vicino ad ima banca le cui onde elettroniche dei sistemi di sicurezza avrebbero potuto far esplodere l'ordigno nel momento sbagliato. Poi arrivarono le bombe del '93. Ma questa è storia ancora non chiusa. Francesco La Licata

Luoghi citati: Caltanissetta, Como, Corleone, Falcone, Italia, Svizzera