Tokyo, la miseria virtuale dell'opulento Giappone

Tokyo, la miseria virtuale dell'opulento Giappone La crisi di un Paese che possiede il 40% del debito pubblico americano Tokyo, la miseria virtuale dell'opulento Giappone TOKYO DAL NOSTRO INVIATO Davanti all'ingresso di Hsi, l'agenzia di viaggi più grande del mondo, la gente fa la fila con la solita pazienza, mentre, al di là del vetro, brillano le «occasioni» del mese. Per 230 mila yen, tre milioni di lire, fino a fine ottobre viaggio da Tokyo e soggiorno assicurato in Italia: 2 giorni a Roma, due a Firenze, due a Venezia. Ma la vera attrazione del viaggio sta altrove: una giornata di shopping «intera», assicura il programma, a Levanelle, spaccio toscano di Prada e un'altra in quel di Leccio, via Aretina 39. Manco c'è bisogno di spiegare ai clienti che lì sta il sogno massimo della massaia di Tokyo, il magazzino di Gucci. Anche quest'almo, crisi o non crisi, saranno più di 14 milioni, ovvero uno su nove, i giapponesi che viaggeranno oltre confine. La folla del sabato sfila compatta tra i grattacieli di Shinjuku, sotto l'immenso schermo video di Studio Alta. Questa, nonostante i crolli della Borsa, resta una delle zone più care del mondo, dove si concentra lo shopping più accanito, più ricco, mentre file immense di giovani e non aspettano pazientemente di entrare in ristoranti e bar, sempre affollati, anche i più costosi, dal primo pomeriggio a notte inoltrata. Sei pesche, in un chiosco all'angolo, costano 3500 mila yen, quasi 45 mila lire. Visto così, il Giappone di oggi non sembra proprio quel vulcano impazzito, destinato a sommergere il mondo con la lava della recessione, quella miscela di caduta contemporanea di prezzi, consumi e attività economica, che il pianeta non conosceva dal '29. Eppure, dietro le luci della sera e il velo di pudore di un popolo timido ed introverso, la crisi comincia a mordere per davvero. Il prodotto intemo lordo è sceso per il terzo trimestre consecutivo. Per il '98 si profila una discesa del 3,3%, se non peggio. Sono i dati peggiori della storia economica del Giappone, da sempre. Tutto si vende di meno, a cominciare dalle auto: il 6,4% in meno a luglio, ma, rispetto a due anni fa, la caduta delle vendite supera ormai il 20%; gli elettrodomestici sotto del 5% in un mese. Nei grandi magazzini, da 37 mesi, le vendite sono più basse che nei trenta giorni precedenti. Sullo sfondo, poi, la minaccia più terribile: il crack del sistema bancario che siede su una montagna di crediti inesigibili, garantiti da immobili che hanno perso più di metà del loro valore o nemmeno da quello. Per quanto? Difficile una stima esatta: senz'altro molto di più dei 13 mila miliardi di yen (170 mila miliardi di lire) stanziati dal governo per far fronte all'emergenza delle 19 grandi banche nipponiche che, garantisce il premier Obuchi, non falliranno mai. Analisti autorevoli, da Goldman Sachs a Schroeder, ritengono non azzardata una cifra vicina al milione di miliardi di lire... E' qui che si gioca la capacità di governare o meno la crisi del Sol Levante: o si ripuliranno i bilanci, aprendo la strada alla concorrenza degli stranieri, oppure si cercherà, come succede ormai da sette anni, di tenere la crisi nel congelatore, impedendo la vendita degli immobili (per non registrare perdite), in attesa di una ripresa che salvi tutti, anche politici e burocrati compromessi con i guadagni facili. Non stupisce che, in attesa che si sciolga il nodo, il Giappone, più che a consumare, pensi al proprio futuro e alla propria sicurezza sociale. Come in Italia, alla propensione di risparmio delle famiglie fa da riscontro una difficile situazione delle casse pubbliche: il debito, se si tien conto del «buco» della vecchia gestione delle Ferrovie statali e della previdenza, supera il 220% del Pil. Nel 2010 un giapponese su quattro avrà più di 65 anni e non sarà facile garantirgli una pensione anche perché l'Inps locale non brilla certo per efficienza negli investimenti. Altro che spendere, è l'ora di correre ai ripari. E le aziende si adeguano: vietati, in molte società, gli incontri con i clienti fuori ufficio, a pranzo, mia sorta di tradizione che portava nelle casse dei ristoranti di Ginza più di un miliardo di yen a settimana (oltre 13 miliardi di lire); obbligo di autorizzazione scritta per la cancelleria o, addirittura, per il rotolo di carta igienica. «Sono misure psicologiche - spiega Ichiro Shimojo, capo redattore eh Gekkan Somu, autorevole giornale economico - con cui i capi vogliono trasmettere ai subordinati il senso della crisi». E c'è chi si ingegna «all'italiana». «Da qualche mese - confessa un importante operatore di Borsa a Area, sofisticato magazine della City - telefono ai miei clienti solo all'ora di colazione, quando so di non trovarli. Così sono costretti a richiamarmi loro e io risparmio il telefono...». Certo, è assurdo evocare lo spettro della fame o della disperazione, come a Mosca o a Giakarta. Per il prossimo concerto di Carreras-Domingo e Pavarotti i biglietti (50 mila yen, ovvero 650 mila lire) sono andati a ruba nel giro di un'ora e mezzo; la lega americana di hockey gioca qui la sua partita inaugurale (biglietto di gradinata 20 mila yen, 260 mila lire). Questa è la crisi di mi Paese incredibilmente ricco, il maggior creditore netto del mondo, che possiede il 40% del debito pubblico americano; le famiglie giapponesi, accanite risparmiatici da sempre, hanno in cassa averi pari a due volte e mezzo il pil; la sola municipalità di Tokyo vanta im bilancio superiore a quello dell'intera Cina popolare e la Borsa, il Kabuto cho, può sopportare senza grossi traumi di perdere in una sola seduta, come è accaduto venerdì, una cifra pari all'intero prodotto interno della Russia. La locomotiva, insomma, resta imponente. Ma che accadrà, qui e nel resto del mondo, se smetterà del tutto di tirare il treno dell'economia? «Fino a ieri - ribatte Katsuo Terauchi - il resto del mondo ammirava il nostro senso del risparmio. E adesso vogliono che compriamo le loro macchine o le loro lavatrici. Ma non abbiamo alcuna voglia di comprare, nemmeno la roba fatta da noi». Il signor Katsuo Terauchi, nato proprio nel '29, anno della crisi, è emblematico di un certo Giappone: proprietario di una piccola distilleria, figli laureati e indipendenti, possiede tre macchine, due lavatrici, quattro televisori. Certo, non saranno tutti così nella grande Tokyo, incredibile area urbana che ospita 30 milioni di persone, mi giapponese su quattro, ma, come obietta lui, «chi ha paura di perdere il lavoro non spende soldi...». Ormai il rischio di non trovare lavoro è più che una paura ; il tasso di disoccupazione ha superato il 4,5%, sopra i livelli americani. Per la prima volta, ed è mi trauma ancora peggiore, si parla di licenziare. A farlo, per prime sono le grandi multinazionali straniere, ma presto seguiranno la Fuji Bank e altre istituzioni locali. Salta così, almeno nell'immaginario collettivo, la certezza del posto a vita. E le prime conseguenze si vedono. Nel '97 3556 persone, avverte l'annuario della polizia, si sono suicidate per motivi economici, tre volte tanto che nel '90. Nel '98 si viaggia a tassi sensibilmente superiori, il 50% in più a Osaka, la città più colpita dalla crisi dei prezzi immobiliari. Non è nemmeno troppo difficile seguire questa allucinante catena recessione-depressione, data la spietata precisione statistica che accompagna la crisi. A dicembre, nella regione di Tohoku, nel Nord Est, è fallita la Tokuyo City Bank, una piccola banca locale che non ha certo l'atto notizia nella grande finanza. Eppure da questa bancarotta hanno avuto origine 37 fallimenti di piccole e medie aziende, per un totale di 24,4 miliardi di yen (poco pili di 300 miliardi di lire), e, tra gennaio e giugno, 78 suicidi sui 319 che si sono registrati nella prefettura di Miyagi. Tra i suicidi più spettacolari, pochi mesi fa, quello di tre piccoli industriali dell'indotto auto che si sono tolti la vita in un albergo di Tokyo, dopo aver inviato istruzioni ai capi contabili delle rispettive aziende di utilizzare i premi assicurativi per pagare i debiti delle imprese. In Giappone, infatti, le compagnie pagano le polizze vita (la l'orma di risparmio più diffusa) anche hi caso ili suicidio. Altri patrons meno nobili pare che pratichino un altro metodo: assicurare (e in combutta con assicuratori disinvolti! dipendenti in cattive condizioni di salute. Il premio, in caso di morte, naturalmente finisce nelle casse dell'azienda... Per tentare di uscire dalla recessione il governo ora sta facendo di tutto. Certo, i notabili dell'Ldp s\ sono mossi con colpevole ritardo, incuranti dell'allarme di Norio Ohga, l'illuminato leader di Sony (musicista di rilievo, amico stretto di von Karajan) che già ad aprili! evocava lo spettro della grande crisi. Ma da allora è stato un susseguirsi di piani per tagliare le tasse o per rilanciare la spesa pubblica. Ma, almeno finora, tutto è stato inutile. La gente non si fida del futuro dietro l'angolo e ogni taglio fiscale finisce in risparmi, non in consumi. Nemmeno l'ennesimo taglio dei tassi, del resto, sembra sortire effetti migliori. Ormai prendere denaro a prestilo costa lo 0,25%, ma non lo fa nessuno; un Bot locale a 10 anni rende solo lo 0,7%. «Ma il denaro facile - ammonisce l'analista di Nikko Yosuo Ueki - è visto più come una droga, capace di mantenere in vita imprese moribonde, che come una terapia efficace. E' un po' come scalare marcia quando si avvicina il precipizio: la macchina finirà nel burrone solo un po' più tardi)., ammonisce Andrew Shipley di Schroeder. Più che misure tecniche, insomma, ci vuole uno choc, qualcosa che equivalga ad un ordine dal quartier generale e che rimetta in moto l'esercito dei consumatori del Sol Levante. E questo choc non potrà venire che dal piano di risanamento bancario. 11 banco di prova, il salvataggio della Long Temi Credit Bank di Tokyo, è ormai imminente. Entro lunedì prossimo Obuchi e Miyazawa dovranno presentare il loro piano a New York, davanti ai responsabili della finanza mondiale. E qui si capirà per davvero dove andrà il Giappone, il grande, ricco e potente malato di fine millennio. Ugo Bertone Non sembra quel vulcano impazzito destinato a sommergere il mondo con la lava della recessione, eppure gli indicatori economici sono tutti negativi I crediti inesigibili delle banche sarebbero un milione di miliardi Davanti all'agenzia e(i viaggi la gente siWtte in coda pervenire in Italia a comprare borsette fìrmateNdegli stilisti Pradae Gkcci La gente comincia a essere preoccupata e calano i consumi Le aziende tagliano ferocemente le spese molte falliscono e il futuro delle pensioni è nero I del debito pubblico americano Davanti all'agenzia e(i viaggi la gente siWtte in coda pervenire in Italia a comprare borsette fìrmateNdegli stilisti Pradae Gkcci Qui accanto, il presidente della Sony, Norio Ohga che già ad aprile evocava lo spettro della grande crisi A destra e sotto, una via di Tokyo e la frequentatissima metropolitana