Tre penitenze per un peccatore di Gabriele Romagnoli

Tre penitenze per un peccatore Tre penitenze per un peccatore Censura, impeachment, dimissioni: il borsino ■ ■ ■ ■ ■:. v ■ ■■■ ■■: GLI SCENARI DELLA CRISI CNEW YORK' OME andrà a finire? In qualunque modo, purché finisca. E' questo il sentimento prevalente. Si diffondono nausea e disgusto, non tanto per l'uso presidenziale dei sigari, ma per questa fumosa saga che sembra impossibile concludere in maniera decente. E allora, negli scenari che vanno delineandosi per condurla all'ultima, sospirata, puntata, molto peserà l'efficacia che questi possono avere nel permettere all'America di pensare a cose più serie, tipo il fatto che Sammy Sosa ha eguagliato e si prepara a stracciare il fresco record di fuoricampo, evento che, sulla prima pagina del «New York Times», ha già relegato Clinton di spalla. Al momento, questi sono gli scenari possibili, questi i loro sostenitori e le loro probabilità di realizzarsi. La censura. In crescita. Bisogna intendersi con l'inglese. La traduzione esatta di «censure» sarebbe «inciucio». Ossia, dopo aver tirato in ballo la Bibbia e la Costituzione, i principi della morale e della dignità, si decide che il Presidente ha commesso una marachella e va pubblicamante sgridato, ma può restare promettendo solennemente (come ha già fatto) che non ci ricascherà. La censurainciucio equivale a un cartellino giallo nel calcio: il giocatore resta in campo, ma su di lui pende una spada di Damocle. Il presupposto è che il fallo sia stato veniale. Le accuse formali contro Clinton (ostacolo alla giustizia, spergiuro, abuso di potere) sono tutt'altro che veniali. Quelle reali (adulterio pasticciato) non dovrebbero nemmeno esistere in pubblico. Risolvere la media delle accuse con la media delle condanne sarebbe una soluzione ipocrita. Dunque, probabile. Per ora, la appoggia la maggioranza degli americani (56%) perché la vede diretta all'uomo (che biasima) e non al Presidente (che apprezza). Piace ai democratici, perché consentirebbe di voltare pagina, fare il conto dei danni e mettersi a ripararli in tempo, se non per le elezioni di novembre, per le Presidenziali del duemila. Contrari, invece, i repubblicani, per i quali è preferibile mantenere il re sotto scacco e tutti i suoi pedoni bloccati in posizioni difensive o variamente isolati sul quadrato di gioco. Meglio, per loro, andare avanti con lo stillicidio delle rivelazioni di Ken- neth Starr, pregustarsi l'effetto di una possibile apparizione pubblica di Monica Lewinsky, delle rivelazioni di Matt Drudge su un'altra fantomatica «pizza girl», fare man bassa di voti a novembre e prepararsi alla più dolco delle vendette: la restaurazione, il ritorno di un Bush alla Casa Bianca. Anche per questo, favorevole all'inciucio è, invece, Bill Clinton. L'impeachment. Stabile. A quattro giorni dalla divulgazione del rapporto Starr la procedura si è messa formalmente in moto, ma non appare sospinta né dal furore popolare né da una potente volontà politica. Dalla commissione Hyde al Congresso il passo è ancora lungo e la spinta a compierlo non appare fortissima. Stando a un sondaggio della Cbs, solo il 10% degli americani appoggia que- sta soluzione, la più lunga e sanguinosa tra quelle possibili e che trafiggerebbe in un colpo solo il Presidente e l'uomo. Ovviamente cercano di esorcizzarla i democratici, per i quali sarebbe il peggiore degli scenari. Particolarmente vivace, al riguardo, la candidata californiana Barbara Boxer, ai cui comizi si è levato il grido: «Il Presidente l'ha fatto con Monica, i repubblicani vogliono farlo con tutta la nazione». Un autentico incubo sarebbe per un'altra donna, Hillary Clinton, che, dopo aver lavorato per mesi nel comitato per l'impeachment di Nixon, subirebbe una nemesi storica ben più inaccettabile, dato il tipo, del tradimento di Bill. La soluzione impeachment é ovviamente quella a cui mirano i repubblicani e il loro spiritoguida Kenneth Starr. Potrebbe farsi più vicina se il nuovo Congresso uscito dalle urne di novembre allineasse tra i banchi un'accresciuta schiera di destrorsi e bacchettoni, il che non è affatto da escludere. Le dimissioni. In ribasso. In realtà il partito s'ingrossa. Ogni giorno si iscrivono democratici preoccupati della propria sorte e commentatori che esprimono, per ora, l'opinione di un giornale e, in un possibile futuro, quella di una fetta d'America. L'ultimo, in ordine temporale, è stato l'unico quotidiano a diffusione nazionale: «Usa Today». Ora la maggioranza degli editorialisti ha dato lo sfratto all'inquilino della Casa Bianca, ma solo il 26% degli interpellali nei sondaggi ha sottoscritto l'ordinanza. E non importa quanti repubblicani lo vorrebbero davvero (pochi, temendo eli offrire a Gore un buon trampolino di lancio per la presidenza del 2000), li; dimissioni hanno un limite formidabile: è contrario Bill Clinton. Lo spiega su «Newsweek» uno che lo ha conosciuto bene, George Stephanopoulos, che gli fu accanto nei giorni della corsa vincente alla Casa Bianca: Clinton è l'unico capace di risorgere da morte certa. L'ha già fatto e già allo stesso modo. Fu buttato fuori dal governatorato dell'Arkansas e lo riconquisto dopo aver recitato a suon di spot elettorali una pubblica ammenda per gli errori commessi (ricorda niente?). Fu dato per spacciato ai tempi di Gennifer Flowers e, come si racconta nel film «Primary Colours», reagì andando a mangiare un hamburger. Cocciuto e incosciente, il ragazzo non si arrende. Anzi, si riveste delle sue funzioni e indossa pubblicamente l'abito di primo cittadino del mondo, preoccupandosi della situazione internazionale. Guarda i sondaggi e pensa: ce la posso fare. Guarda l'indice di Borsa in ascesa e si convince ancora di più. Difficile che gli scatoloni di Starr contengano altre sorprese. Il momento decisivo potrà essere rappresentato dalle elezioni di novembre e Clinton vuole arrivare di fronte all'ostacolo ancora in sella. Se lo salta, inzaccherato, penalizzato, inciuciato o no, può addirittura finire la sua corsa. Certo, non sarà un percorso netto, in nessun senso, ma non ci resterà che guardarlo con 10 stesso crescente stupore con 11 quale abbiamo assistito al dipanarsi di tutta questa vicenda. Gabriele Romagnoli Clinton e la First Lady Hillary ieri a New York mentre si avviano verso l'elicottero Per il Pi er.idente, la prima difficile trasferta dopo la pubblicazione dell'umiliante rapporto Starr, è stata un successo

Luoghi citati: America, Arkansas, New York, Ome