Concerto per kalashnikov e tank di Angelo Conti

Concerto per kalashnikov e tank Concerto per kalashnikov e tank La battaglia per la conquista della tv NELLA CAPITALE m FIAMME C/7 TIRANA " E' il terrore negli occhi dei ragazzi che escono dal liceo classico Petronini Luarasi, proprio dietro il palazzo della Presidenza della Repubblica, al termine del primo giorno di scuola. E' mezzogiorno e a Tirana si spara: il clima sembra tornato quello della primavera dell'anno scorso, con cinquemila persone per le strade, a scandire slogan e a sparare lunghe raffiche di Kalashnikov. Ci sono feriti, più tardi si conteranno anche i morti: ufficialmente tre. Poco lontano, sul lungo viale che collega lo stadio a piazza Skanderbeg, contrappuntato dagli austeri edifici dei ministeri e circondato dai tipici bar sparpagliati nei giardini, ci sono addirittura carri armati. Quelli dell'esercito (una decina) e quelli conquistati dai rivoltosi (quattro): si fronteggiano, sferragliami e pieni di fumo. Sono loro a fare paura, prima ancora degli spari ai quali, in questa martoriata capitale, ci si era abituati a convivere. La tensione arriva all'apice poco prima delle 13: la colonna dei «dimostranti» più incalliti, i fedelissimi di Berisha che hanno appena finito di dare l'estremo saluto a Azem Hajdari, punta sul palazzo della televisione. Una costruzione moderna, piena di vetrate, di solito pesantemente scortata, a due passi dai cancelli dell'ambasciata italiana. La resistenza è minima e i dimostranti entrano nel grande atrio: qualcuno spara, la vetrata di sinistra va in frantumi. Nessuno opppne resistenza e un piccolo gruppo sale la rampa che porta aglrstudi della televisione: così, alle 13,10, interrompendo il telegiornale ecco il capo del Partito Monarchico, Eqere Spahiu, alleato di Sali Berisha, che prende il microfono e spiega con voce agitata: «Siamo in diretta dallo studio 2: tutte le istituzioni dello Stato da questo momento sono nelle mani degli insorti». L'intera Albania, che sta seguendo proprio in televisione, l'evolversi dei tumulti mattutini comprende così di trovarsi di fronte ad mi vero e proprio tentativo di colpo di Stato. Così la tensione a Tirana cresce ancora, mentre Sali Berisha, appena mezz'ora dopo, compare personalmente sugli schermi del Paese. E' calmo, elegante, sicuro di sé. Parla con meno veemenza del solito, quasi a dare peso ad ogni parola. Ma non dice nulla di nuovo: «Noi siamo per una soluzione politica e chiediamo le dimissioni del premier Fatos Nano». Dimissioni negate appena qualche ora prima. Ma poi Berisha affronta direttamente il tema dei disordini: «Nessuno compia atti di violenza, in questo momento non sono utili per nessuno. E rispettate i palazzi dello Stato: costituiscono la ricchezza nazionale, la base sulla quale costruire il nostro futuro». E' una Tirana lunare, quella del dopo-manifestazione. Con gli uomini di Berisha arroccati nei ministeri, e con la polizia che - del tutto latitante al mattino - comincia a riguadagnare le posizioni strageticamente più importanti. Piazza Skanderberg è avvolta dal fumo, quello che esce da un vicino emporio di elettrodomestici, prima saccheggiato e poi dato alle fiamme. Ma i vigili del fuoco sono al lavoro, e questo è considerato un buon segnale. Ci sono, nel tardo pomeriggio, altri segni di relativo controllo. Ci sono ancora spari, raffiche e colpi isolati, ma sono quelli della pohzia che percorre le strade del centro con le autoblindo a sirene spiegate. Si crea, con il passare delle ore, mia zona franca, intomo al palazzo della televisione: sono strade residenziali, percorse da lunghi muri che proteggono sedi di ambasciate, ville patrizie, sedi ministeriali. Pro- prio qui c'è anche Villa Italia, la residenza dell'ambasciatore, elegantissima nei suoi marmi bianchi, guardata a vista dai carabinieri del Tuscania. La gente è disperata. Qualche gruppetto staziona sulla scalinata dell'Hotel Tirana-International, che ha management torinese. Chiedono notizie dalle altre zone dell'Albania, chiedono se ci sono stati morti. Domande alle quali ò difficile dare una risposta. Ufficialmente il resto del Paese è relativamente tranquillo. Ma qui la gente è abituata a credere soprattutto ai propri occhi, anche se le televisioni hanno continuato a trasmettere, a fonine documenti visivi ed anche sonori. Tutta la nazione ha gli occhi verso gli schermi quando, alle 19,35, compare in giacca e cravata Alexander Frangaj, un membro del Consiglio generale della televisione di Stato. Ha i modi intimoriti di chi non è mai stato davanti alla telecamera, e rivolge al Paese mia insolita comunicazione si servizio: «La televisione adesso è libera, non c'è più nessuno. Ma ci sono i notiziari da fare: tecnici e giornalisti sono attesi in redazione. Potete venire perche le strade qui intorno sono percorribili, protette dalla polizia. E perché c'è molto da fare». Franga]' accenna ad andarsene, poi si Femia, torna un passo indietro e continua: «Aspettiamo anche i due direttori, sia quello della radio, sia quello della televisione». Fuori in strada, la scena è lunare, con le luci che dall'ambasciata italiana illuminano la scalinata che introduce agli studii. Aron Arataniav, l'ingegnere capo della televisione, sta lavorando a un monitor. Parla di «danni minimi)) e soprattutto agli infissi. Intanto Sali Berisha torna a farsi vivo, da un'altra emittente: denuncia i saccheggi, le ruberie, spiega che sono opera di «provocatori» del premier Nano e poi annuncia una nuova manifestazione. La gente sta in casa, telefona e si telefona. La teleselezione internazionale funziona, anche dall'Italia si chiama senza troppe difficoltà. La notte è piena di silenzio, innaturale da queste parti: nessuno spara più. Intanto la pioggia, sempre pili fitta, lava il sangue dalle strade. Angelo Conti

Luoghi citati: Albania, Azem Hajdari, Italia, Tirana, Tuscania