L'Fmi; riforme contro la crisi

L'Fmi; riforme contro la crisi Il World Economie Outlook ripropone la ricetta liberista in Asia e Russia L'Fmi; riforme contro la crisi «Pochi rìschi per Usa e Europa» MILANO. Qualcuno li vede come all'amatori eli popolo che stringono la cinghia ai Paesi poveri così da far loro rimborsare il debito estero fino all'ultimo centesimo. Qualche altro - per esempio i repubblicani americani, che perciò bocciano regolarmente ogni richiesta di rifinanziamento - li bolla come burocrati che sperperano il denaro dei contribuenti all'indegno fine di far rientrare le banche internazionali di prestiti elargiti irresponsabilmente. Stretti tra il martello della sinistra e l'incudine della destra, loro, i funzionari e gli economisti del Fondo monetario intemazionale, allargano le braccia e rispondono, come sono ormai abituati a fare: si è vero, spesso finiamo col salvare gli speculatori, ma che cos'altro si può fare? Assistere a bancarotte a catena senza intervenire? 11 «World Economie Outlook» diffuso ieri dal comitato esecutivo dello stesso Fmi è all'insegna dell'«avanti così»: la risposta alle recenti turbolenze dell'economia mondiale, vi si dice, va cercata nella ben nota ricetta di bilanci nazionali sani, tagli alle spese, riforme verso la liberalizzazione e la trasparenza dei mercati. E questo vale per l'Asia orientale come per la Russia e l'America latina. Un'importante correzione viene peraltro auspicata dal rapporto annuale: il settore privato (cioè gli investitori dei Paesi ricchi) «deve essere più coinvolto nella previsione e nella cura delle crisi finanziarie». Cioè va responsabilizzato e, quando e il caso, deve pagare un prezzo. Difficile dire se e quale impatto potrà avere il rapporto sui nervosissimi mercati internazionali alla riapertura di oggi, ma va sottolineato che non dipinge un quadro tutto negativo dell'economia mondiale: se per Russia e Far East l'alba non si vede ancora, gli Usa e l'area dell'Euro sono considerati capaci di sormontare i marosi. Aggiungendo che a Mosca c'è adesso un governo dotato di una maggioranza mai vista e impegnato a proseguire sulla via delle riforme, si potrebbe sperare in una iniezione di fiducia. Dove il Fondo si mostra meno ottimista è proprio sui suoi conti. La crisi del Far East, spiega il rapporto, è costata impegni finanziari per l'equivalente di 200.000 miliardi di lire, assunti da Fmi, Banca Mondiale e altre istituzioni internazionali (ricordiamo che il Fondo si occupa del riequilibrio finanziario a breve termine mentre la Banca fa prestiti a lungo termine e a tassi modici per favorire lo sviluppol. L'Fmi in particolare si è impegnato per 36,1 miliardi di dollari (62.450 miliardi lire) di cui già sborsati 24,8 (42.900 miliardi di lire). Come conseguenza, ha visto ridotte al lumicino le sue disponibilità finanziarie. La liquidità è ai minimi storici: il rapporto tra le risorse non ancora impegnate e il denaro già stanziato è precipitato dal 125% dell'aprile '97 (all'avvio della crisi thailandese) fino al 29% nelle ultime settimane, mentre si ritiene che il livello di guardia si tocchi quando il rapporto e compreso tra il 70 e il 75 per cento. Qualora la crisi si allargasse e fossero necessari altri interventi di sostegno, per esempio nell'America latina che scricchiola, si potrebbe scoprire che il borsellino è vuoto. Fin da gennaio l'Fmi ha deciso di aumentare le quote (cioè la liquidità messa a disposizione da ogni Paese membro) del 45%, ma finora senza effetto. Il rapporto del Fondo segnala che la crisi dell'Estremo Oriente ha assorbito «una quantità di tempo senza precedenti» dello staff. Lo sforzo, però, non è stato vano. Apprezzamenti riserva in particolare l'Fmi alla Thailandia e alla Corea, i due Paesi che hanno seguito con più impegno le prescrizioni dell'organismo internazionale. Cauto ottimismo viene espresso sulla Cina, che non ha svalutato la moneta nazionale (yuan) e continua a crescere a ritmo sostenuto, tra il 7 e l'8%, contribuendo a contrastare le spinte recessive a livello internazionale (ma proprio Thailandia e Corea hanno dimostrato con quanta fretta un Paese del Far East possa passare dalla super- crescita alla depressione se non presta attenzione ai bilanci). Asia, Russia e America Latina spingono al ribasso le aspettative dì sviluppo dell'economia mondiale ma «il rischio di contagio per Stati Uniti ed Europa è relativamente ridotto». In particolare viene lodata l'iniziativa dell'Euro, visto in prospettiva come «un'allettante valuta di riserva in concorrenza con il dollaro». Si osserva però che il budget di molti Paesi europei suscita preoccupazioni a medio-lungo termine legate all'invecchiamento della po¬ polazione e all'aumento dei pensionati. Il Paese più nel mirino, nel pur diplomatico linguaggio del Fondo monetario, è il Giappone, motore immobile della crisi internazionale. Tagli alle tasse e (prudenti) stimoli diretti con spese pubbliche mirate vengono consigliati come è già stato fatto invano tante volte - per far ripartire l'economia. Iniziative dal governo di Tokyo sono attese fin da oggi al G7 di Londra sulla crisi asiatica. Luigi Grassia DOVE PAGA WASHINGTON [I capitali impegnati dal FMI negli ultimi quattro anni) I Dati in miliardi di Dollari 1994 1995 1996 1997 VOLUME TOTALE DEI PRESTITI 160,5 192,0 240,8 173,7 RIPARTIZIONE ARES GEOGRAFICHE Allarme per le riserve scese al minimo storico. Da oggi a Londra il G7 sul Far East mm Michel Camdessus, direttore del Fmi

Persone citate: Luigi Grassia, Michel Camdessus