Un messaggio politico dalle banche centrali di Alfredo Recanatesi

Un messaggio politico dalle banche centrali OLTRE LA LIRA =1 Un messaggio politico dalle banche centrali ESITO della riunione che il consiglio della Banca centrale europea ha tenuto venerdì scorso, in presenza di inquietanti segnali che vengono dalle economie di tutto il mondo e di Borse ancora lontane dall'individuare nuovi punti di equilibrio, può sembrare deludente; forse addirittura sconcertante. In sintesi, ha preso atto in primo luogo che la crisi asiatica e le sue ripercussioni sugli Stati Uniti, sui Paesi latino-americani e sulla Russia ha effetti negativi anche sulle economie europee. Può sembrare scontato, ma non è così. Fino a pochi giorni prima l'opinione che circolava nelle banche centrali dell'area Euro, soprattutto quelle più vicine alla Bundesbank, accreditava una sorta di immunità dell'Europa dovuta alla presenza al suo interno di un potenziale di crescita che gli avrebbe consentito di mantenere intatto il ciclo espansivo sul quale era avviata. Proprio dalla Germania, invece, è venuto il segnale di un rallentamento della crescita già nel secondo trimestre di quest'anno, e la Bce non ha potuto non prenderne atto aggiustando le sue precedenti previsioni. Il Consiglio ha poi preso atto che non c'è più alcun rischio di inflazione. Sentirlo dire da banchieri centrali, i quali per l'inflazione nutrono timori ancestrali come per il buio o per i tuoni di un temporale, fa sempre effetto, anche se pure questo assunto è ormai scontato; anzi, di più: se oggi è venuta meno la minaccia che alla stabilità monetaria può venire da prezzi che salgono, si sta delineando quella, assai peggiore, di prezzi che scendono mettendo in crisi i Paesi produttori di petrolio, materie prime, derrate alimentari. E se la cura dell'inflazione prevede somministrazioni di politiche restrittive, sia monetarie che fiscali, la cura del male opposto dovrebbe prevedere politiche espansive, anch'esse sia monetarie che fiscali. Ma qui è il punto. La Bce non solo non ha aperto alcuno spiraglio espansivo, ma ha sollecitato i governi ad accrescere l'impegno per il risanamento dei bilanci pubblici, che è come dire di proseguire le politiche restrittive imposte come condizione per l'ammissione alla unione monetaria. Questa posizione - che con qualche fondamento potrebbe apparire contraddittoria con la diagnosi - può essere stata dettata da ragioni politiche: non si dimentichi che le elezioni tede sche sono alle porte e che l'ab bandono del marco è tuttora uno dei grandi temi della cam pagna elettorale. Ma può an che esprimere la priorità della visione strutturale su quella congiunturale. Può esprimere cioè, la convinzione che il migliore antidoto contro una congiuntura sfavorevole sia il quadro di certezze e di fiducia 1 che può essere offerto dalla de I terminazione nel puntare sugli obiettivi di medio-lungo termine; un po' come negli ultimi anni ha fatto la Banca d'Italia quando, pur in situazioni congiunturali difficili, ha tenuto duro con tassi a breve molto alti fino a convincere i mercati che l'inflazione sarebbe stata soffocata ed a ridurre, di conseguenza, i tassi richiesti per gli impieghi in lire. Di qui il messaggio di una politica monetaria benevola, ma non permissiva, e la sollecitazione di politiche di bilancio senza tentennamenti verso l'ulteriore contenimento dei deficit e la riduzione degli stock di debito. Questo il compito che la Bce ritiene proprio; agli altri quello di riforme tali da sostenere competitività e crescita: meno spesa corrente e più investimenti, flessibilità nell'impiego del fattore lavoro, contenimento della pressione fiscale. Posizione corretta, certo; forse anche troppo, perché il rischio è che manchi di pragmatismo. Se, infatti, è apprezzabile - e chi potrebbe dubitarne - che la rotta strutturale faccia premio sugli zig zag della congiuntura, che le strategie di fondo non vengano condizionate da tattiche contingenti, che le certezze di mediolungo periodo non vengano scalfite da azioni e decisioni di minore momento, è anche vero che le riforme predicate dai banchieri centrali devono fare i conti con un consenso politico e sociale che per sua natura non guarda e non può guardare tanto lontano. Di conseguenza, non si può escludere del tutto che un sostegno più attivo alla crescita dell'Europa possa venire dalle banche centrali tra loro concertate, o che venga prospettato dalla Bce per quando diventerà operativa; l'apertura di una prospettiva che lo spazio aperto dalla ritirata dell'inflazione possa essere utilizzato per sostenere la domanda, o almeno per finanziare, anche in disavanzo ag-, giuntivo a quello consentito dal patto di stabilità, investimenti pubblici o riduzioni di imposte sulle attività produttive; insomma un ruolo più attivo di banche centrali e governi d'Europa nel lenire timori e preoccupazioni potrebbe creare un ambiente più favorevole (o soltanto meno ostile) per quelle riforme sulla cui realizzazione i banchieri centrali vanno giustamente insistendo. Se il fine, il fine ultimo, è questo, non è affatto detto che il percorso più rapido e più facile per arrivarci sia quello perfettamente rettilineo. Alfredo Recanatesi esi |

Luoghi citati: Europa, Germania, Russia, Stati Uniti