Sexgate, la seconda bordata di Starr di Andrea Di Robilant

Sexgate, la seconda bordata di Starr La speranza della Casa Bianca: mozione congressuale di censura senza impeachment Sexgate, la seconda bordata di Starr Altre 17 casse di documenti su Clinton e la Lewinsky WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Forte del giudizio favorevole che gli americani continuano a dare della sua presidenza - attorno al 60 per cento - Bill Clinton punta ora a salvare se stesso accettando l'ipotesi di una mozione di censura del Congresso che risparmi al Paese il trauma di un impeachment. Fonti della Casa Bianca aggiungono che se non sarà possibile arrivare ad un accordo con la Camera dei rappresentanti su una soluzione del genere, il Presidente - che dice di non aver letto il Rapporto Starr e di non volerlo leggere - andrà fino in fondo. «Non intende rassegnare le dimissioni», dicono. Piuttosto, affronterà il giudizio del Congresso. Ieri, nel giorno in cui Monica Lewinsky ha fatto sapere attraverso il conduttore di un tabloid televisivo che «soffre molto e che non è ancora in grado di commentare gli avvenimenti», Clinton ha sguinzagliato i suoi avvocati e collaboratori più stretti ai talk show della domenica per diffondere un unico messaggio: il comportamento del Presidente, per grave che sia, non costituisce un reato tale da giustificare l'impeachment. «Ma ciò che ha fatto è sbagliato e lui lo riconosce», hanno aggiunto unanimi, lasciando capire che il Presidente è disposto a ricevere una severa reprimenda da parte del Congresso. E questa, del resto, è la linea su cui preme la leadership del partito democratico, che teme l'impatto di un lungo dibattito alla Camera non solo in vista delle elezioni del prossimo novembre ma soprattutto in vista delle Presidenziali del Duemila. «Andiamo avanti e facciamola finita», dichiara esasperato Patrick Moynihan, uno dei più rispettati senatori democratici. L'ipotesi di una censura o comunque di una reprimenda del Congresso - George Stephanopoulos, ex assistente di Clinton e commentatore politico, proponeva ieri una mozione di censura accompagnata da una multa - è anche quella che trova i maggiori consensi del pubblico: il 60 per cento. Mentre solo il 30 per cento degli americani dice di volere l'impeachment. Nelle prossime settimane i contenuti di altre 17 scatole di documenti, con 2700 pagine di verbali e vari videotape assemblati da Starr, saranno diffusi al pubblico - la commissione Giustizia sta esaminando il tutto per accertarsi che persone innocenti non vengano infangate dalla distribuzione del materiale - ma non dovrebbero esserci rivelazioni tali da spostare l'opinione pubblica in un senso o nell'altro. Un solo presidente americano, Andrew Jackson, ha subito una mozione di censura da parte del Congresso - nel 1834. E molti leader democra- rici, a cominciare da Mario Cuomo, ritengono che sarebbe la punizione più giusta. Ma i critici più severi di Clinton rispondono che dopo tutto quello che è successo - dopo lo scandalo, l'umiliazione pubblica, il danno al Paese - una mozione di censura sarebbe un atto troppo insignificante, che non avrebbe affatto «il sapore di una punizione». La destra repubblicana, che ha un peso notevole nella commissione Giustizia, sembra decisa a spingere per l'impeachment. E si profila una battaglia politica durissima nelle prossime settimane, dentro e fuori il Congresso, in cui i sondaggi finiranno per avere un ruolo determinante. Ma se alla fine i sostenitori dell'impeachment la spunteranno, dice Stephanopoulos, il Presidente non lascerà la Casa Bianca di sua volontà: affronterà il giudizio del Congresso. Andrew Johnson, l'unico presidente a subire l'impeachment (1868), alla fine si salvò per un voto. «E Clinton preferisce passare alla Storia come Andrew Johnson che non come Richard Nixon, l'unico presidente dimissionario». Mentre i sondaggi dicono che la gente è con lui, i candidati democratici alle elezioni di medio termine preferiscono non associare la loro immagine a quella del Presidente e gli fanno il vuoto attorno nel tour che parte oggi da New York e che doveva servire a raccogliere fondi per il partito. Molti big all'ultimo momento si sono resi introvabili. Geraldine Ferraro, l'ex candidata alla vicepresidenza che ora è in corsa per il Senato, «si è accorta che ha troppo da fare con la campagna elettorale», è stata la scusa avanzata dal suo portavoce. Mentre James La Rocca, un candidato alla poltrona di governatore, ha addirittura implorato Clinton di cancellare la visita. Andrea di Robilant Il 60% degli americani vuole che il Presidente resti al suo posto con una reprimenda Ma la destra repubblicana, maggioritaria in commissione Giustizia, sembra decisa a spingere per l'incriminazione

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