Una transizione rapida può far bene all'Europa di Aldo Rizzo

Una transizione rapida può far bene all'Europa OSSERVATORIO Una transizione rapida può far bene all'Europa due settimane dal voto ►nazionale tedesco, Helmut Kohl ha avuto dalla Baviera il segnale che si aspettava o nel quale sperava. Ora può dire con qualche realismo, e non più solo per farsi coraggio, che i giochi sono aperti, nelle elezioni federali del 27 settembre. Invece, se anche i cristiano-sociali bavaresi, gemelli e alleati dei cristiano-democratici nazionali, avessero ceduto consensi, perdendo una maggioranza assoluta locale che detengono dal 1962, le elezioni federali sarebbero state poco più che mia formalità, e lo sfidante socialdemocratico Gerhard Schroeder avrebbe già potuto considerarsi cancelliere. Non è detto che non lo diventi ugualmente, ma la fase estrema della campagna elettorale diventa ora asperrima e, in ultima analisi, imprevedibile. Le domande da porsi, dopo il voto regionale in Baviera (il più esteso e ricco dei Laender), sono due. La prima riguarda il quadro politico tedesco. Come si sa, Kohl ha alcune debolezze congiunturali (l'alto tasso di disoccupazione, una certa stagnazione economica, la delusione politica e psicologica dei tedeschi dell'Est) e una debolezza, diciamo, strutturale, fisiologica, che gli deriva dall'essere da ben sedici anni alla guida della Bit. Le «chances» di Schroeder di succedergli sono legate all'una e all'altra debolezza, alla seconda più che alla prima (forse in fase di superamento, nel suo aspetto economico). Però Schroeder, a sua volta, non convince più che tanto, i suoi programmi sembrano a molti genericamente «moderni», sostanzialmente vaghi. La domanda è: il significato del voto bavarese può arrivare davvero a sovvertire il quadro dei pronostici nazionali? Certo, il fattore «locale» è potente, la Baviera, anche per ragioni storiche, si considera una realtà a sé, dentro la Germania. Inoltre la motivazione del persistente successo della Csu è un «mix» di avanguardia tecnologicoeconomica e di conservatorismo sociale difficilmente proiettabile su scala tedesca. E tuttavia è forte anche il segnale «nazionale» che viene da Monaco, i socialdemocratici sono fermi al risultato di quat tra anni fa, nonostante Schroeder. Prevedere una rimonta vittoriosa di Kohl resta azzardato, ma a questo punto è problematico (dato il numero degli elettori ancora indecisi) anche il successo di Schroeder. Che si profili una «grande coalizione», una sorta di transizione concordata tra Kohl e il futuro? La seconda domanda riguarda l'Europa. Come potrà influire il risultato del 27 settembre sui problemi e sulle prospettive dell'Ue? La Csu che ha vinto in Baviera non brilla per europeismo, e lo stesso Kohl, pur restando il padre dell'Euro, o comunque della fondamentale scelta europea della Germania unita, non ha più in questo senso lo smalto di un tempo. I tedeschi e tutti noi europei dobbiamo andare oltre l'Euro, pensare seriamente alle responsabilità politiche dell'Unione, in una situazione planetaria segnata da troppe crisi d'America di Clinton, la Bussia di Eltsin, la nevrosi dei mercati finanziari, l'Asia nucleare, l'Africa, i Balcani). Paradossalmente, ricordando le sue origini euroscettiche, Schroeder sembra oggi offrire su questo terreno cruciale proposte più interessanti di quelle di Kohl, anche se questi ha dalla sua, come garanzia, un formidabile passato. Conclusione. Alle due domande non c'è una risposta precisa. Il voto bavarese ha riaperto i giochi, ma non ha certo indicato una direttrice di marcia. Ha piuttosto sottolineato l'incertezza che pesa non soltanto su quello che sarà il responso nazionale del 27 settembre, ma anche sulla futura politica della Germania, chiunque sia il vincitore. E incertezza della Germania vuol dire, in larghissima misura, incertezza dell'Europa. Come europei, appunto, dobbiamo chiedere che questa incertezza si dissolva il più presto possibile, che la transizione, se ci sarà, abbia obiettivi chiari. Facendo, poi, ciascuno la sua parte. Aldo Rizzo zoj