Aziende senza credito nei Giappone in crisi di Ugo Bertone
Aziende senza credito nei Giappone in crisi Flette la produzione del Sol Levante, ormai si respira aria di recessione. Il governo studia una cura Aziende senza credito nei Giappone in crisi Diminuisce l'offerta di finanziamenti e l'economia langue TOKYO DALL'INVIATO «Il ribasso? Diciamo che mi ha stupito di più il rimbalzo di qualche giorno fa. Siamo passati da un rialzo senza ragioni a una discesa che ha molte ragioni...». Migashita, analista di Nomura liquida così l'ennesùna settimana terribile del «Kabuto cho», la Borsa di Tokyo, culminata lo scorso venerdì in un tonfo del 5,11 %, che ha fatto precipitare l'indice Nikkei di 749 punti, sotto quota 14 mila. Ormai è chiaro a tutti, anche a chi, fino all'ultimo, si è ostinato a non raccogliere i consigli degli occidentali o le provocazioni di Norio Ohga, il leader della Sony, che già 6 mesi fa lanciava l'allarme recessione. E i numeri, ora, gli danno drammaticamente ragione. Nel secondo trimestre del '98, l'economia giapponese ha registrato una flessione dello 0,8: è il terzo trimestre di fila che l'indice segna un risultato negativo, cosa che, nel dopoguerra, non era successa mai. La crisi comincia a mordere per davvero, intaccando l'orizzonte delle aziende che, per il secondo trimestre di fila, hanno tagliato gli investimenti del 5%. I consumi, finora stagnanti, segnano un calo dello 0,8%; e un segno meno, per la prima volta, segna anche la costruzione di nuove case. E' una sorta di onda sismica, davanti a cui cadono le dighe dell'impero della finanza nipponica: ogni mille punti in meno del Nikkei, le prime venti banche giapponesi perdono 40 mila miliardi di lire, ovvero sono costrette a tagliare credito per oltre 10 mila miliardi a un'economia già strangolata di suo... E a farne le spese sono le piccole aziende, 0 cuore dell'armata economica di Tokyo. Non è un weekend qualunque quello che si consuma in questo finale d'estate così caldo, senza i tifoni di stagione (e a rimetterci sono le colture di coralli di Okinawa, danneggiate dalle correnti calde dell'Oceano). Il governo Obuchi ha una settimana di tempo per presentarsi al vertice di New York con un progetto di salvataggio delle banche concreto, in grado di convincere il mondo della finanza. E molto si giocherà tra domani e martedì, quando, a Borsa chiusa (si festeggia la giornata del «rispetto per gli anziani»), si potrà finalmente trovare un compromesso con l'opposizione che, per ora, si lùnita a restituire al mittente le proposte del partito al potere, l'Ldp, che ha disperato bisogno di un successo su questo fronte per recuperare prestigio, all'interno e fuori. Certo, l'«effetto Clinton» ha favorito l'inatteso rafforzamento dello yen dopo l'altrettanto inatteso taglio dei tassi a breve di mercoledì. Ma il rialzo della moneta non ha favorito la ripresa della fiducia. Anzi, qui molti, anche nella Banca del Giappone e all'onnipotente ministero delle Finanze, considerano la caduta dello yen come l'unica, temporanea ma efficace, anna per dare ossigeno all'economia ferita del Sol Levante. La risposta dei mercati alla mossa del governo è stata, poi, peggio che gelida, sia tra i giapponesi che tra i broker stranieri, sempre più importanti sul mercato. «Più che una mossa di politica economica - ha detto Ron Bevacqua di Merrill Lynch, ormai il broker numero uno di Tokyo - sembra un gesto dettato dalla disperazione...». Di fronte a certe reazioni e al rischio, più che probabile, che la situazione peggiori ancora, al di là dell'affane Lewinsky, Miyazawa e Obuchi sanno benissimo che sul banco degli imputati per la crisi siede in prima fila proprio il Giappone. Guai a non arrivare al vertice di New York, il 22 prossimo, con un piano sul salvataggio delle banche. Un piano credibile, beninteso, in grado di lanciare un pur misero segnale di speranza in una situazione che si va facendo cupa, quasi irreale, come le cifre di questa crisi irreale, senza inflazione, ma senza segnali di ripresa. Venerdì, mentre la Borsa precipitava, i rendimenti del debito pubblico sono caduti ai nummi storici: solo lo 0,77% per i titoli a 10 anni. E il denaro che non rende niente, lungi dallo stimolare la voglia di fare delle imprese o di indebitarsi dei privati, è un flagello per i risparmiatori. «Nessun Paese nella storia - dice Yosuo Ueki di Nikko securities - ha mai remunerato così poco un debito a lungo. E' la follia, ovvero credere che, per almeno dieci anni, l'economia starà ferma e non ci saranno ni giro buoni affari...». E mentre Ueki parla, scorrono sui video della Kyodo, la Reuter locale, altre notizie: Toshiba, per la prima volta, chiude un trimestre in rosso; la Fuji Bank, reduce da grosse perdite sui derivati, taglierà 850 posti e dimezzerà le filiali estere; per la prima volta, nella regione di Tokyo, le unità immobiliari invendute (interi palazzi) hanno superato quota 10 mila. Ugo Bertone Il premier giapponese Obuchi
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