Lucio oddio, ultime emozioni

Lucio oddio, ultime emozioni Ammesse solo 30 persone alla cerimonia funebre per Battisti, in migliaia poi hanno invaso il cimitero Lucio oddio, ultime emozioni Lacrime, fiori e folla al funerale MOLTENO (Lecco) DAL NOSTRO INVIATO «L'ho toccato!», quasi urla una ragazzina con gli zatteroni e la felpa. Sembra felice di essere arrivata tanto vicina al mito e non fa niente se ha dovuto aspettare questa bara di larice con i mazzi di roselline rosse sopra, per essere vicina, come mai era riuscita in tutta la vita, a Lucio Battisti. A questa cassa di legno che i necrofori portano a fatica, tra i tanti che la aspettano in questo piccolo cimitero a uno sguardo dalle montagne. Sono in mille, duemila, forse di più. Vengono dalla Svizzera, dai paesoni della Brianza qua attorno, da Roma e pure da Ciro, con quel cartello «Lucio te vogghiu bene» e i mazzi di fiori. «Lui mi ha aiutata a vivere, è stato la colonna sonora della mia vita», assicura Eugenia, giacca di jeans e macchina fotografica al collo come se fosse un concerto, l'ultimo spettacolo di Lucio Battisti. Molti piangono, quando passa la bara tra i sentieri di ghiaia, il servizio d'ordine che fa quello che può e i tanti che calpestano le tombe dei signor nessuno che qui dovrebbero riposare in pace, ma non oggi. Tutti applaudono, troppi hanno l'occhio incollato alla videocamera per assicurarsi l'ultimo primissimo piano di Lucio Battisti. «La famiglia ce l'ha con i giornalisti, quelli sono gli sciacalli, noi siamo i suoi fans», assicura uno, cravatta nera per l'occasione, mentre sgomita verso la finestra fumò ai lati dei colombari. Dove per uno spicchio si vede la benedizione dei preti, i necrofori che infilano la bara e la murano prima con i mattoni e il dolore dei parenti più stretti. La moglie Grazia Letizia Veronese che tiene le mani giunte, la sorella Albarita che si copre la bocca, il figlio Luca a braccia conserte e i cognati accanto, in abito scuro. Alle 12 e 35 è tutto finito. Tocca al pubblico, diventare protagonista davanti alla lapide di cemento grigio dove la famiglia ha alla fine deciso di far mettere una targhetta di ottone con una croce incisa, poche parole e neanche una foto: «Lucio Battisti. 1943.1998». C'è chi passa una mano, chi appoggia un lumino, chi lascia un biglietto. «Sei un poeta», «Ci mancherai», scrivono i primi, mentre i mazzi di fiori gialli, rose rosse, gerbere e orchidee quasi coprono fila di tombe più in basso. Adesso c'è iì sole che ha spaz- zato via la pioggia del mattino. Quando le radio in modulazione di frequenza trasmettevano quelle canzoni di venti anni fa. Quando i primi con gli ombrelli aperti si sono messi davanti al cancello verde del residence Dosso di Coroldo, dove Lucio Battisti si era isolato venti anni fa. «Sono qui perché Lucio era uno di noi», giura Franco Fiocchi, uno degli ultra della Lazio che ha promesso di ricordarlo ancora allo stadio con uno striscione, oggi pomeriggio a Piacenza. «Sono qui per amore», non dice altro Lorella che viene da Monza, capelli biondi e mazzolino di fiori. Sono qui, perché la famiglia di Lucio Battisti non ha voluto nessuno nella cappella dentro al residence, dove don Carlo di Molteno e- don Giuseppe di Bo- sisio alle 11 celebrano la messa. «E' stato toccante, c'erano le lacrime e un'atmosfera di dignitoso dolore», racconta don Carlo, che non vuole aggiungere altro di quei quaranta privatissimi minuti attorno alla bara del cantante, nella chiesetta ottagonale con le vetrate che guardano il bosco. Solo trenta persone, vengono ammesse. I parenti, qualche amico intimo, i vicini. E Mogol, l'autore dei testi delle canzoni più famose che ancora una volta sceglie di non dire una parola. Nemmeno quando si infila oltre il cancello verde del residence e qualcuno batte sul vetro della sua Mercedes argento. N emmeno quando gli sparano i flash in faccia. La custode raccoglie i mazzi di fiori appoggiati alla cancella- ta. Dentro la cappella si leggono brani dell'Apocalisse e dal Vangelo delle Beatitudini. Tocca a don Giuseppe, pronunciare l'orazione funebre. «Ho voluto citare alcune sue canzoni, ricordare le gite in montagna con i miei allievi dove si cantava "Acqua azzurra, acqua chiara, con le mani posso finalmente bere" ed era facile pensare all'acqua del battesimo», interpreta don Giuseppe. «E ho ricordato anche quando Lucio cantava "Ma che sapore ha, una giornata uggiosa? Ma che sapore ha, una vita non spesa" per cogliere un messaggio per vivere bene», spiega ancora il parrocco di Bosisio, l'altro paesino confinante col residence. A mezzogiorno il carro funebre oltrepassa la cancellata. Dietro ci sono solo due auto, una Mercedes argento e una verde, per i famigliari pili stretti. Passano tra la folla, meno di un chilometro e sono al cimitero appena fuori dal paese, poco lontano dal bar dove dal mattino sta andando all'infinito un doppio ed con le canzoni più famose di Lucio Battisti. Lungo la strada c'è un cartello scritto in rosso: «Lucio, sarai sempre nel nostro cuore» E' uno dei tanti. Appena più grande dei bigliettini che a cerimonia finita, vengono attaccati sulla lapide. Come quello scritto da Rossella, che a stampatello scrive: «Il tuo canto, domani e sempre, sempre vivrà, sempre vivrà». Fabio Potetti Molti hanno pianto e applaudito al passaggio del furgone Il parroco: «Un'atmosfera di dignitoso dolore Nell'omelia ho citato alcune delle sue canzoni» Anche Mogol è entrato nella cappella assieme ai familiari, i parenti e i vicini di casa Sulla tomba una targhetta in ottone col nome Molti i biglietti «Sei un mito ci mancherai» Sulla bara un mazzo di roselline rosse Nella foto grande l'omaggio dei fans sulla tomba di Lucio Battisti al cimitero di Molteno. Accanto la moglie di Lucio Battisti, Grazia Letizia Veronese, e il figlio Luca. Al funerale sono state ammesse una trentina di persone

Luoghi citati: Lazio, Lecco, Molteno, Monza, Piacenza, Roma, Svizzera