Sette ore d'inferno nel mare di Fulvio Milone

Sette ore d'inferno nel mare :■■ ■ ■ . . ■ ■ . ' ; ... ■ ■ . ... ...... ili ili:; i i ■|iÉÉl! NAUFRAGIO A AMALFI ERCHIE (Salerno) DAL NOSTRO INVIATO Ha tenuto stretto a sè il corpo per non lasciarlo al mare che gli aveva rubato la vita. Per sette ore è rimasto così, abbracciato a un cadavere, prima che una voce dall'alto del costone che domina gli scogli battuti dalle onde lo chiamasse per nome: «Camillo resisti, veniamo a prenderti». E dopo che l'hanno tirato su con le funi, tutto tremante, si è aggrappato a un vigile del fuoco e ha gridato fra i singhiozzi: «Prima lui, dovevate prendere prima lui». Il lungo incubo rimarrà per sempre impresso come un marchio a fuoco nella mente di Camillo Monetti, 34 anni: si sente responsabile della morte del cognato, Pietro Dell'Orto, venuto da Milano sulla costiera amalfitana per una vacanza che gli è costata la vita. «Se non l'avessi invitato a quella maledetta gita in canoa ora sarebbe qui, vivo», ha detto prima di raccontare la sua storia. Lo scenario è quello, splendido, di Erchie, un grappolo di casette sulla costa poco più a Sud di Amalfi. E qui che venerdì, alle undici della notte, si ritrovano quattro uomini e un bambino: Camillo Monetti e il Sette ore d'inferno nel mare Aggrappato a uno scoglio, reggendo l'amico morto i loro amici Mattia Bisogno e Giuseppe Vitagliano con suo figlio Amerigo, di 10 anni. Li accomuna la passione per il mare e per la pesca subacquea, sono tutti esperti marinai tranne Pietro Dell'Orto, che ha accettato di buon grado l'invito di Camillo: «Vedrai, c'è bel tempo e il mare è calmo: ti divertirai». Il gruppo lascia la spiaggia di Erchie alle undici e mezzo a bordo di due canoe: sulla prima prendono posto Bisogno, Vitagliano e il bambino, la seconda è occupata da Monetti e Dell'Orto. Le condizioni meteorologiche sono ideali per una battuta di pesca notturna. Nulla lascia pensare che., di lì a poche ore, alle due, lo scenario incantevole di un cielo stellato si trasformerà un una trappola mortale. «Il vento ha girato all'im¬ provviso, il mare si è ingrossato nell'arco di quattro, al massimo cinque minuti», racconterà Camillo Monetti ai carabinieri. I canoisti capiscono che non bisogna perdere tempo: si dirigono immediatamente verso la baia di Erchie, visibile grazie alle luci delle case. Mattia Bisogno e Vincenzo Vitagliano con il figlio sono più fortunati: riescono a raggiungere l'insenatura dove le onde impediscono l'attracco, si buttano in acqua a pochi metri dalla riva e si aggrappano alle canne impugnate da alcuni pescatori accorsi sulla spiaggia. Sono salvi, ma angosciati per la sorte dei due amici che sembrano inghiottiti dal buio e dal fragore del mare in tempesta. Vitagliano dà l'allarme alla polizia, e subito si muove la macchina dei soccorsi. Da Salerno la capitaneria di porto invia una motovedetta, si alzano in volo gli elicotteri dei vigili del fuoco. Il resto della storia è affidato al racconto fatto ai carabinieri da Camillo Monetti. «Ho tentato di dirigere la canoa verso Erchie, ma non ce l'ho fatta», dirà. Una raffica di vento più violenta delle altre rovescia ì'imbarcazione, e i due si trovano in mare, in balia delle onde. La costa è vicina, ma la corrente li trascina verso il largo. Camillo, buon nuotatore, riesce a guadagnare qualche metro. Ma è preoccupato per il cognato. «Ce la fai? Vuoi una mano?», grida verso Pietro Dell'Orto, che risponde: «Stai tranquillo, va tutto bene». Sono le sue ultime parole. Pochi secondi dopo quel breve scambio di battute, a pochi metri dalla terra ferma, Camillo si volta e vede il cognato che galleggia sul pelo dell'acqua. Riesce ad afferrarlo, lo trascina sugli scogli. Lo chiama, scuote quel corpo ormai senza vita che le onde tentano di strappare dalle sue braccia. Ma lui, Camillo, resiste. Disperato, intirizzito, è deciso a non mollare la presa. Gli uomini della motovedetta della capitaneria di porto avvistano il naufrago poco prima delle 8, in una caletta poco distante da Erchie. Ma non possono fare nulla: le condizioni del tempo sono pessime, il vento si è rinforzato e le onde impediscono di avvicinarsi agli scogli. A questo punto intervengono i vigili del fuoco. L'intenzione è di eseguire il salvataggio dall'alto, calando le cime lungo uno strapiombo alto venti metri. Ma anche in questo caso le difficoltà sono enormi. Camillo Monetti e il corpo di Pietro Dell'Orto si trovano in una rientranza della roccia, solo uno scalatore esperto può raggiungerli. «Non preoccuparti, veniamo a prenderti presto», grida a Camillo un vigile del fuoco che chiede via radio l'intervento di una squadra del soccorso alpino. Finalmente, poco dopo le dieci, il naufrago viene tirato su con una fune. Pallido, con il viso stravolto dall'angoscia, ha una improvvisa reazione violenta. «Non dovevate recuperare me, ma lui», urla rivolto a un poliziotto che lo accompagna nell'autoambulanza. Poi, dopo la visita in ospedale, Camillo Monetti risponde alle domande di un sottufficiale dei carabinieri. «Che cosa vuole che le dica, è anche per colpa mia se mio cognato non è più qui. Se non lo avessi invitato a quella maledetta gita in canoa...». Il corpo di Pietro Dell'Orto è stato recuperato poco prima delle undici, dodici ore dopo l'inizio di questa brutta storia. Il magistrato ha ordinato l'autopsia per stabilire con esattezza le cause della morte. Probabilmente l'uomo è stato colpito da un malore, quando gli sarebbero bastate poche bracciate per mettersi in salvo. Fulvio Milone

Luoghi citati: Amalfi, Erchie, Milano, Salerno