Un gesto inconsulto di un avventuriero di Lorenzo Mondo
Un gesto inconsulto di un avventuriero F PANEAL PANE "1 Un gesto inconsulto di un avventuriero UNQUE Licio Gelli, arrestato a Cannes dove faceva il latitante di lusso, avrebbe tentato il suicidio. Diciamo «avrebbe», per il modo alquanto macchinoso dell'operazione: gli occhiali spezzati, la scheggia di una lente utilizzata per tagliarsi le vene dei polsi. Ma si resta increduli specialmente perché il nostro uomo si è rivelato nella sua lunga, non specchiata vita, tessitore di mistificazioni e inganni. E' possibile allora che si tratti di un espediente, di un malessere virtuale da aggiungere ai reali disturbi di cuore: per ritardare i tempi dell'estradizione e ridurre la permanenza in carcere che, dati i suoi ottant'anni, sarebbe comunque poco più che simbolica. Viene tuttavia un altro dubbio, che renderebbe merito alla sperimentata malizia del personaggio. Non sarà stato mosso dalla persuasione che il suicidio in Italia paghi? Per chi si limita a simularlo e per chi se ne serve, quando sia effettivamente compiuto? Spieghiamoci, a evitare sospetti di brutale cinismo. Da qualche tempo la morte per mano propria di uomini pubblici suscita da noi ima particolare, e non sempre limpida, emozione. Si è predisposti all'indulgenza, all'attenuazione morale nei confronti di chi decide di pagare con la vita i propri errori; che addirittura sembra disconoscerli gettandosi di traverso, a corpo morto, contro una verità o una giustizia che si contesta. Esiste una diffusa opinione, confortata da improvvisati, torbidi maestri, che controbilancia a usura le pulsioni giustizialiste: portata a dimenticare e assolvere i peccati di cui si sente serenamente partecipe nella pratica quotidiana. Diciamo, l'acquisizione di denaro che è frutto di malversazione, appropriazione indebita, evasione fiscale. Di qui la diffidenza e l'inimicizia nei confronti della magistratura, anche di quella che fa seni pli- l coni I ancl cernente il proprio mestiere, che tendono alla indignazione quando c'è di mezzo un morto. Il suicidio di un indagato diventa occasione di polemica faziosa, di crudeli rinfacci, di assalti alla cittadella della giustizia. Tutto viene buono: l'imprenditore o il manager che si uccide perché schiacciato dalla bancarotta finanziaria o politica; il magistrato che non accetta indagini sulle sue disinvolte frequentazioni di malavitosi. I reali, incontestabili addebiti diventano accidenti trascurabili; e non si pensa nemmeno di deplorare che un'improvvisa passione di morte faccia torto, nel privato, alle persone care, alla solidarietà di affetti. Nessuno può decentemente accanirsi contro chi compie un atto così definitivo, sia dettato da frustrazione fisica o turbamento di coscienza. Non si può negare pietà a chi nega disperatamente, a se stesso, pietà. Ma è indecente abusarne a fini di convenienza politica o complicità nel malfare, ribaltando opportunisticamente il peso delle responsabilità. Chiamando quasi gli sventurati a reiterare a beneficio altrui, in un macabro teatrino, quel gesto che un tempo si definiva inconsulto. Per certe risoluzioni, continua a valere l'insegnamento del poeta antico: «... libertà va cercando, ch'è sì cara - come sa chi per lei vita rifiuta». E', forse, il solo suicidio che merita di essere ricordato con onore, quello gettato in faccia al tiranno. Il resto è cenere, e silenzio. Figuriamoci le maldestre imitazioni e speculazioni dell'avventuriero Licio Gelli. Lorenzo Mondo
Persone citate: Licio Gelli
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