Sgarella, indagato il boss mediatore

Sgarella, indagato il boss mediatore Accusato di concorso in sequestro: potrà però usufruire di benefìci per aver favorito la liberazione Sgarella, indagato il boss mediatore Ma l'Antimafia assolve ilpm Nobili: non c'è stata trattativa ROMA. «Noi ci siamo limitati a certificare un fatto storico», spiegano i magistrati di Milano all'Antimafia. Quale fatto? «La presentazione, a metà agosto, di un avvocato, il quale ci ha detto che il suo cliente era disponibile ad attivarsi per ottenere la liberazione di Alessandra Sgarella», rispondono. Quel cliente è il boss della 'ndrangheta intorno al quale è ruotata la liberazione dell'ostaggio. Un personaggio - aggiunge il pm Alberto Nobili assieme al suo collega Robledo e al procuratore aggiunto Minale - che «inizialmente non era coinvolto nel sequestro, ma ora il suo ruolo è oggetto di indagine». Dunque, formalmente la procura di Milano indaga pure sul detenuto che è intervenuto per far tornare a casa Alessandra Sgarella, un elemento in più che consente al presidente dell'Antimafia Del Turco di dire: «Non c'è stata nessuna trattativa tra Stato e Antistato, e nessuna promessa di benefici che del resto possono essere concessi da altri magistrati, non certo dalla procura di Milano». La quale, come hanno spiegato i magistrati durante l'audizione segreta di ieri a palazzo San Macuto, s'è mossa sulla base di due principi: «tutelare la vita dell'ostaggio e incanalare tutta l'attività inquirente nei termini giuridici propri». Il secondo principio significa che oggi esiste un «concorrente» nel reato di sequestro di persona, il quale s'è dato da fare perché l'ostaggio venisse liberato, e dunque potrà cercare di ottenere i benefici previsti dalla legge, come l'articolo 630 del codice penale e il 58 ter dell'ordinamento penitenziario. A quel punto, come stabiliscono i codici, la procura di Milano farà le sue valutazioni e darà il suo parere, che c'è da credere sarà positivo. Commenta Del Turco: «Da che mondo è mondo esistono dei vantaggi per chi assume un particolare atteggiamento processuale, e questo avviene dappertutto. Dov'è lo scandalo?». Dunque, il presidente della commissione parlamentare antimafia «assolve» i magistrati milanesi, e con lui il presidente del comitato sui sequestri di persona Pardini (ds), il vice-presidente Nichi Vendola (prc) e altri commissari della maggioranza. Pollice verso, invece, dall'opposizione: il leghista Borghezio se ne va addirittura prima della fine dell'audizione perché dice - «ci è stata fornita una verità di comodo, una verità di Stato. Pensano di farci credere che i boss siano diventati volontari della San Vincenzo». L'altro vice-presidente Mancuso, di Forza Italia, protesta perché non è venuto il procuratore Borrelli, non è convinto che non sia stato pagato un riscatto e commenta: in questa vicenda «è lo Stato che si delegittima». Mantovano, di An, lamenta la reticenza degli inquirenti milanesi: «Non hanno risposto a molte nostre domande, per esempio quando ho chiesto se oggi il boss in questione è ancora sottoposto al regime carcerario previsto dall'articolo 41 bis oppure no». Ma a sentire gli altri commissari non è così: a quella precisa domanda i pm hanno invece risposto che nulla è cambiato, e il boss è tuttora sottoposto al carcere duro. E' un particolare di non poco conto, perché con tutta probabilità il nome del boss è contenuto nell'elenco dei detenuti calabresi (una decina) che a giugno si sono visti infliggere il 41 bis. Per tre di loro - Domenico, Antonio e Rocco Papalia - il provvedimento fa specifico riferimento a un presunto coinvolgimento nel sequestro Sgarella, ma gli avvocati dei tre continuano a ripetere che i loro assisititi non hanno fornito alcun aiuto agli inquirenti, perché nulla sapevano del rapimento. Anzi, l'avvocato Taormina fa sapere che gli mcruirenti hanno ormai «escluso con sicurezza» il coinvolgimento di Domenico Papalia «a qualsiasi titolo nel sequestro Sgarella». Il nome del detenuto coinvolto non è stato rivelato nemmeno all'Antimafia, così come quello dell'avvocato che ha fatto da tramite tra il boss e gli inquirenti. «Non da garante né da mediatore», insiste Del Turco. Quindi l'ultima versione ufficiale sul caso Sgarella diventa questa: dai colloqui investigativi compiuti in estate sono venute solo generiche dichiarazioni di disponibilità da qualcuno dei detenuti contattati, ma la svolta è arrivata a metà agosto, quando agli inquirenti s'è presentato l'avvocato con la risposta positiva del suo cliente. «Quella dichiarazione per noi era una nuova prova dell'esistenza in vita della signora Sgarella - hanno spiegato i pm - e anche una conferma delle acquisizioni raccolte fino a quel momento, perché la zona d'origine del detenuto era la stessa individuata nel corso delle indagini. L'ambiente del detenuto era già oggetto di indagine autonoma da parte nostra». Ora lo è anche il boss che, dal carcere («ma si tratterà di capire come»), s'è mosso per far tornare a casa l'imprenditrice milanese. E la chiamata al numero di telefonino consegnato dai sequestratori alla donna è stata la ((firma» apposta a tutta l'operazione. «Trasparente commenta Pardini - perché a differenza che per gli altri sequestri, tutto è scritto e documentato nelle carte processuali». Giovanni Bianconi Resta un mistero l'identità dell'uomo: dieci i calabresi sottoposti al 41 bis A sinistra, il pm Alberto Nobili della procura di Milano; a destra l'imprenditrice Alessandra Sgarella

Luoghi citati: Milano, Roma, Taormina