Dalla Casa Bianca alle storie «porcellone» di Paolo Guzzanti

Dalla Casa Bianca alle storie «porcellone» Dalla Casa Bianca alle storie «porcellone» UANDO una settimana fa Cossiga ha strappa• to l'applauso alla festa dell'Udr solidarizzando con Clinton e sostenendo che «ciascuno di noi ha avuto a che fare nella vita con una compagna di scuola un po' porcellona», l'ha fatto probabilmente per reagire alla cappa di conformismo calata su vicende e leggende dello Studio Ovale, dove si dice che vengano ormai forniti gratuitamente contraccettivi all'entrata e analisi Dna all'uscita. Personalmente ho provato una sensazione un po' straniata, avendo vissuto l'ultimo atto della tragedia di Clinton all'interno di una famiglia americana, potendo misurare la forza distruttiva del senso di tradimento subito per un comportamento disonesto in quanto imbroglione, e non in quanto «(porcellone»: se non si colgono certi umori collettivi americani è impossibile poi capire come una crisi nata dal fattore umano possa trasformarsi in un rogo di risparmi e investimenti. Penso dunque di aver capito qualcosa partendo dalla storia di otto albicocche e da quella dell'albero di ciliegie di Giorgio Washington. Con la mia amica Jill ero andato a fare la spesa in un supermercato del Greenwich Village dove abbiamo comperato anche otto albicocche. Il supermercato ha provveduto alla consegna a domicilio, ma, aperti i pacchi, le albicocche erano ridotte a marmellata, schiacciate dalle bottiglie. La mia amica, per cui come per ogni americano ogni servizio è un servizio dovuto e ogni disservizio è motivo per una contestazione e richiesta di rimborso, ha protestato e tre minuti dopo un fattorino era alla porta con otto albicocche perfette. Tutto ciò mi era parso un po' esagerato e l'ho detto. Ma il commento della mia amica è stato: «Qui tira un'aria di rilassamento che non fa bene all'America: se cominciamo a permettere che il Presidente faccia sesso con una coetanea di sua figlia nello Studio Ovale e che i supermarket ti consegnino frutta spappolata, non sappiamo più chi siamo e l'America va a rotoli». Quel «non sappiamo più chi siamo» mi incuriosiva e ho chiesto spiegazioni. Eccole: «Prima ancora di andare a scuola, a tutti i bambini americani viene raccontata la storia del ragazzo Washington e dell'albero carico di ciliegie di fronte a cui non seppe resistere, e lo piegò fino a spezzarlo. Avrebbe potuto prendere le ciliegie e fuggire, ma era una persona onesta. E l'onestà era la più precoce virtù del primo Presidente Usa perché onestà e sincerità sono, nel mito americano, sinonimi. Così Washington confessò il suo misfatto e se ne assunse la responsabilità». Ecco perché gli americani se scoprono che il loro Presidente è un bugiardo degno di un personaggio di Alberto Sordi, lo rifiutano come le albicocche spappolate. L'apologo ha la caratura ingenua tipica della società americana, è vero. Ma proprio da quei fondamenti di ingenuità ho visto in queste settimane crescere una amarezza che si è andata trasformando in rabbia, poi in rifiuto, quindi in disprezzo. L'ammissione tardiva di aver mentito ha provocato infatti quel crollo che ci è difficile capire e che liquidiamo come «esagerato», lasciandoci aperta solo la via dell'ironia. Gli americani sono infatti spesso esagerati, ma mi sono chiesto se esista per noi qualcosa che regga il confronto con il mito del ciliegio di Washington. Qualcosa che non abbia a che fare con la condotta puritana (Washington fu tutt'altro che uno stinco di santo), ma che possa spiegare un modo elementare di vivere i valori della vita civile, ai confini fra etica e mito, unificando sentimenti e reazioni. Ma non mi pare. Non credo neppure che ci unifichi il mito delle compagne porcellone, Paolo Guzzanti nti

Persone citate: Alberto Sordi, Clinton, Cossiga, Giorgio Washington

Luoghi citati: America, Greenwich, Washington