Ritornano gli uomini dell'Urss di Gorbaciov
Ritornano gli uomini dell'Urss di Gorbaciov Ritornano gli uomini dell'Urss di Gorbaciov TRA PASSATO E FUTURO MOSCA dal nostro corrispondente Addio al più giovane dei governi che la Russia avesse mai avuto in questo secolo, forse in tutti i secoli precedenti. Addio a Kirienko, e anche a Cernomyrdin, che giovanissimo non era, ma era accerchiato dai giovanotti di Harvard, con gli occhialini tondi ultima moda, come le scarpe sempre lucide, i vestiti comprati a New York, l'eloquio britannico. Torna il passato e torna come salvatore. Sette anni vorticosi pieni di illusioni e rutilanti di beni di consumo, per un ceto medio che non ha fatto in tempo a crescere. Pieni di cadaveri e di ruberie perpetrate con la spocchia di chi è convinto della propria, totale immunità. La sbornia è durata, tutto sommato, poco. Adesso arrivano i comunisti. C'è chi inorridisce, chi sorride spaesato, chi si stupisce ascoltando Evgenij Primakov preannunciare che non si abbandonerà la via che deve condurre al mercato. Ma sono poi comunisti? A guardare bene torna al potere la perestrqjka. Uno dietro l'altro, messi sotto la lente d'ingrandimento, sono quello strato di intellettuali comunisti - alcuni dei quali d'apparato - che aiutarono Gorbaciov a cominciare la trasformazione. Prendi lo stesso Primakov; prendi Leonid Abalkin, che con Gorby era stato addirittura premier e che adesso tornerà probabilmente a reggere un pezzo di economia; prendi Jurij Masliukov, che dirigeva il Gosplan, il comitato statale per la pianificazione, e adesso sarà il numero due del governo; prendi Gherascenko, che torna ad essere il banchiere numero uno della Russia, trattato a suo tempo dal giovanotto Gaidar come una presenza anomala, anti-mercato, cacciato da Boris Eltsin al grido: «Gherascenko, non hai capito che arrivano tempi nuovi!». Avevano capito, invece, che arrivava l'onda. E, come sagge tartarughe, avevano ritirato la testa nel guscio, aspettando che passasse. Piccoli frammenti di quell'immensa Russia per la quale cento chilometri non sono distanza e cento anni sono solo un sospiro. Sapevano, probabilmente, inconsciamente, che do¬ po gli stormi di cavallette, dopo i sette anni di vacche apparentemente grasse, sarebbero arrivati gli anni delle vacche inesorabilmente magre. Vecchi! Ma non si torna indietro? L'intervistatrice della tv privata NTV, appartenente a uno degli oligarchi, Svetlana Sorokina, evidentemente ancora sotto choc, poneva ieri la domanda all'accademico Georgij Arbatov, invitato a commentare gli eventi nella trasmissione più ascoltata della sera: «L'eroe del giorno». E il vecchio Arbatov - immagine gioiosa della rivincita, che con tutti i nuovi, vecchi arrivati è amico, collega, e fu compagno di partito e di università - risponde con un contenuto sorriso: «Il fattore anagrafico conta relativamente. I russi in questi anni hanno verificato che anche tra i giovani ce n'è di inequivocabilmente cretini». Povero Ziuganov! Il suo dramma principale, adesso che sembra un vincitore su tutta la linea, non è quello di dover inviare in tutte le direzioni segnali tranquillizzanti. Sa benissimo che deve mandarli. Il Titanic affonda, e lui è il telegrafista che manda le coordinate del naufragio. Ma insieme all'SOS deve spiegare che lui è per la libertà di parola, per il mercato (con caratteri sociali, ovviamente), per la proprietà privata (con qualche limite, naturalmente), per gl'investimenti stranieri (ma non nei settori strategici per la sicurezza dello Stato, s'intende). Sa bene che, altrimenti, non arriverà nessun Carpathia in soccorso, anche se, in cuor suo, avrebbe certo preferito che il Titanic avesse paratie stagne più solide e buone pompe per farcela da solo. Eppure non è questa la vera spina nel suo cuore. E' il fatto che, per «sdoganarsi», per finire quel suo essere relegato nel ghetto, come un appestato, mentre gli altri ex comunisti dell'Est sono più o meno tutti arrivati al governo e alcuni ci stanno bene ormai da tempo, ha bisogno degli uomini della perestrqjka. Quelli che, a suo giudizio, rovinarono tutto e avviarono la fine dell'URSS. Li combattè, con non minore asprezza di quella dedicata ai nemici di classe. Adesso se li ritrova tra i piedi, necessari, inevitabili. Eppure il suo bilancio resta tutt'altro che disprezzabile. Gennadij Ziuganov ieri sera si è di certo addormentato allegro. Siccome ha il senso dello humour, anche se non ama mostrarlo in pubblico, deve aver pensato com'è strana la storia, perfino divertente a volte. L'Occidente ha impiegato sette anni e all'incirca 150 miliardi di dollari per impedire che ritornassero al potere i comunisti, e adesso li benedice seppure con qualche residuo sospetto - come salvatori. Non si poteva mettersi d'accordo prima? Giuliette Chiesa Ziuganov costretto a spiegare di essere per la libertà di parola e per la proprietà privata L'accademico Arbatov «Si è visto che anche tra i giovani politici ci sono dei cretini» Il rientro degli apparatchiki dopo che l'Occidente ha speso 150 miliardi per impedirlo Moscoviti in coda nel centro della capitale per comprare il latte e altri generi di prima necessità
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