Sexgate, decideranno i sondaggi di Andrea Di Robilant

Sexgate, decideranno i sondaggi Sexgate, decideranno i sondaggi La complessa procedura potrebbe durare fino a Natale WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La Costituzione americana, scritta oltre duecento anni fa, dice che un Presidente può essere messo sotto accusa «per gravi crimini e misfatti». Ma cosa costituisce un crimine «grave»? Mentire per nascondere una relazione sessuale è ad esempio un «misfatto»? L'ex Presidente Gerald Ford disse nel 1970 che la definizione di «alti crimini e misfatti» è quella «che una maggioranza del Congresso ritiene che sia in un determinato momento della Storia». In altre parole: la società cambia, con essa cambia anche la morale e di conseguenza la giustificazione per la messa sotto accusa del Presidente. Da ieri, quando i sigilli che tenevano chiuse le 36 scatole mandate alla Camera dei rappresentanti dal procuratore Kenneth Starr sono stati rotti, i deputati navigano dunque in una sorta di terra incognita. E con pochissimi precedenti storici cui appigliarsi. Come ha detto Henry Hyde, presidente della commissione Giustizia, «nessuno di noi inizia a cuor leggero il viaggio traumatico che ci accingiamo a compiere». Toccherà proprio ad Henry Hyde e alla sua commissione leggere il rapporto completo di Kenneth Starr - le 445 pagine diffuse ieri sull'Internet e le altre interminabili 2000 pagine di verbali e testimonianze che sono invece ancora sotto sigilli - e decidere se davvero le accuse del procuratore giustificano l'avvio di una procedura di «impeachment». Il lavoro della commissione Giustizia potrebbe durare diverse settimane, anche fino alle elezioni di «mezzo termine» di novembre. La commissione voterà e successivamente la nuova Camera eletta si pronuncerà nel suo insieme. Se darà ragione a Starr votando a favore dell'impeachment, allora toccherà al Senato giudicare Bill Clinton, sotto la presidenza del giudice supremo, William Rehnquist. Fino a questo momento un solo presidente è stato messo sotto accusa dal Congresso: è capitato nel 1868 la Camera approvò l'impeachment di Andrew Johnson, il successore di Abraham Lincoln, accusandolo di aver abusato dei suoi poteri presidenziali per bloccare una serie di riforme per la ricostruzione del Sud dopo la distruttiva Guerra civile. Ma Andrew Johnson fu assolto dal Senato per un voto. Nel 1974 furono avviate le procedure per l'impeachment di Richard Nixon dopo lo scandalo Watergate. Ma Nixon decise che era meglio rassegnare le dimissioni prima che la Camera potesse pronunciarsi. Clinton, da parte sua, ha fatto sapere che non ha alcuna intenzione di andarsene di sua volontà. Anzi, i suoi avvocati hanno già cominciato a gettare le basi per un robusto contr'attacco alle accuse del procuratore Starr. La grossa incognita rimangono i sondaggi. Perché alla fine saranno gli americani, attraverso la Camera dei rappresentanti, a decidere se il comportamento del Presidente costituisce un «misfatto». Oggi la maggioranza degli americani - ed esattamente il sessanta per cento - si oppone all'impeachment. Se questa percentuale non cambierà in maniera sostanziale sotto il peso dei dettagli sessuali contenuti nel Rapporto Starr, è improbabile che la Camera vada contro la volontà popolare e chieda la messa sotto accusa del Presidente. In tal caso, una mozione di censura del Congresso contro il Presidente appare sin d'ora come la conclusione più probabile di tutta questa vicenda. Andrea di Robilant La conclusione meno traumatica potrebbe essere la mozione di censura