La Sgarella: per farmi forza scrivevo fiabe a mio figlio

La Sgarella: per farmi forza scrivevo fiabe a mio figlio «Nelle mani dei rapitori pensavo al bimbo che adotterò» La Sgarella: per farmi forza scrivevo fiabe a mio figlio MILANO. Ancora sei ore di interrogatorio ieri per Alessandra Sgarella, il quarto giorno di audizione e non sarà nemmeno l'ultimo: i sostituti procuratori Alberto Nobili e Alfredo Robledo torneranno a sentire l'ex rapita sabato. Oggi saranno a Roma, assieme al procuratore aggiunto Manlio Minale, per essere ascoltati dalla Commissione parlamentare antimafia sulle fasi che hanno preceduto la liberazione di Alessandra Sgarella, e in particolare sui risvolti della «trattativa» coi capi della 'ndrangheta calabrese. Per la signora Sgarella e per il marito, Pietro Vavassori, oggi dovrebbe essere un giorno di tregua, senza l'assedio sotto casa di cronisti e telecamere. «Abbiamo bisogno di riposare e di stare un po' soli - dice Vavassori - per questo la prossima settimana, quando saranno finiti interrogatori e altre possibili incombenze, ce ne andremo via qualche giorno». Vavassori ieri è apparso più conciliante verso gli organi di stampa, dopo che nei giorni scorsi si era davvero arrabbiato perché qualcuno aveva scritto di un pagamento del riscatto all'estero: «Tutto falso», era sbottato. E ancora adesso dice che gli è rimasta parecchia amarezza per quelle insinuazioni, nonché per le polemiche seguite al rilascio della moglie. Polemiche che non hanno minimamente scalfito il suo senso di gratitudine nei confronti degli investigatori: «Ringrazio dice - tutte quelle persone straordinarie che hanno permesso a mia moglie di tornare a casa». Amarezza per 0 clima che ha trovato tornando libera, e che di sicuro non si aspettava, la esprime anche Alessan- dra Sgarella, intervistata dal Tgl : «Mi sono sentita bersagliata, assalita - dice -. Mi ha disturbato moltissimo per ciò che è stato detto sulle persone che mi hanno aiutata di più, che hanno lavorato con il massimo impegno. E a cui devo il massimo dei ringraziamenti». Alessandra Sgarella ricorda la sua prima notte da rapita «che ho passato con una catena al collo», la sua prima prigione, «un buco scavato nella terra». E ricorda i suoi carcerieri: «Si alternavano a due a due; io ne ho individuati sette... Visti no, mai nessuno, avevano sempre il passamontagna». E quando le vien chiesto cosa le ha dato più forza la risposta è: «Il pensiero dei miei, a casa». Dei suoi familiari attuali e, soprattutto, di quello che chiama «un progetto meraviglioso»: un bimbo adottivo. A casa Vavassori era atteso a dicembre dell'anno scorso, il rapimento ha interrotto tutto. «Ho pensato tanto a lui - racconta -, a ciò che gli avrei detto, a come gli avrei raccontato la vita. Che è bella, non la cosa brutta che ho passato. Mi immaginavo i dialoghi, le fiabe. Ma pensavo anche che ogni giorno di più per me rapita era un giorno di più di orfanotrofio per lui e allora mi sembrava di impazzire». Momenti brutti li ha raccontati anche nell'interrogatorio di ieri: come quando, a fine luglio, aveva subito violente coliche renali e i rapitori le avevano detto chiaramente che non potevano procurarle medicine. Il loro atteggiamento era cambiato, dopo l'arresto dei Lumbaca: erano ostili, non le rivolgevano più la parola. Prima invece erano stati più «umani»: le avevano regalato una tartarughma per il compleanno, le procuravano musicassette, le permettevano di muoversi e far gmnastica. Tanto che - ha raccontato durante i trasferimenti da un covo all'altro lei ansimava meno dei suoi carcerieri. Che escono come personaggi piuttosto sprovveduti, come quello caduto nella latrina che aveva costruito. [r. m.] «Spesso i miei carcerieri litigavano sulla cifra del riscatto Un giorno uno di loro, distratto è caduto dentro la latrina» Alessandra Sgarella, l'imprenditrice milanese rimasta ostaggio dellAnonima per 266 giorni

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