Un patto per il finto pentimento del boss di Fabio Albanese

Un patto per il finto pentimento del boss L'uomo che girava in Ferrari avrebbe contrattato l'arresto e continuato a dirigere la cosca Un patto per il finto pentimento del boss Sospetti sulla possibile copertura di 4 giudici messinesi CATANIA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Faceva il pentito per restare l'indiscusso capomafia della città. Un piano ipotizzato nelle denunce di un difensore di collaboratori di giustizia, l'avvocato Ugo Colonna, e scoperto dai magistrati della Procura di Catania che un mese fa hanno chiesto e ottenuto l'arresto del boss pentito Luigi Sparacio e hanno aperto un nuovo capitolo nel «verminaio» del caso Messina. L'allegra condotta di Sparacio, pentito con Ferrari e villa miliardaria e ampia libertà di movimento, chiamerebbe in causa quattro magistrati messinesi, alcuni dei quali sarebbero già stati chiacchierati nell'inchiesta della commissione parlamentare antimafia della scorsa primavera che portò all'azzeramento dei vertici della Procura messinese. L'arresto di Sparacio è avvenuto nella settimana di ferragosto ma la notizia è trapelata solo ieri. Sparacio è accusato di avere continuato a gestire gli affari mafiosi della sua cosca durante il periodo della collaborazione, in particola- re il racket delle estorsioni e dell'usura, di avere coordinato le dichiarazioni di altri collaboratori messinesi escludendo cosi dalle rivelazioni i suoi parenti e i suoi luogotenenti che continuavano indisturbati a reggere il clan, e di avere accusato ingiustamente chi invece gli era antipatico o gli aveva creato problemi, come l'allora capo della Mobile Francesco Montagnese, poi assolto da ogni accusa. Perfino il suo arresto del gennaio '95, che qualcuno definisce «finto», non è una vicenda limpida: Sparacio lo avrebbe contrattato con funzionari della polizia, ottenendo in cambio libertà di movimento e perfino una linea telefonica riservata all'interno della caserma della polizia stradale. «Al mio processo - ricorda Montagne- se - dimostrai che il verbale d'arresto era stato completato successivamente». La condotta di Sparacio fa scrivere ai giudici catanesi nell'ordinanza che tutto questo è avvenuto «grazie a ingiustificate inerzie e tolleranze degli organi istituzionali competenti». E il procuratore aggiunto Enzo D'Agata precisa: «Bisogna stabilire se determinati fatti e circostanze siano frutto ed espressione di un certo periodo storico con l'esplodere del periodo dei pentiti o se invece ci siano responsabilità precise». Di più non aggiunge. E tacciono i sostituti Amato e Cariolo, titolari dell'inchiesta. Tuttavia, le dichiarazioni a verbale di un sottufficiale dei carabinieri e di alcuni pentiti dello stesso clan Sparacio lasciano pensare che copertu¬ re e connivenze siano tutt'altro che elementi da fantascienza. Il militare dell'Arma ha raccontato di avere visto e sentito, all'Hotel Europa di Messina, Sparacio in compagnia di altri sei collaboratori: «Feci presente ai magistrati messinesi - ha riferito il maresciallo dei carabinieri - per averlo sentito direttamente che in quella sede i pentiti si mettevano d'accordo tra loro. Ma loro ignorarono le indicazioni». E i collaboratori Salvatore Giorgianni e Guido La Torre hanno detto che in uno di quegli incontri all'Hotel Europa, Sparacio ordinò loro di tacere quanto sapevano sul conto di quattro magistrati messinesi: «Quel giudice è un amico, non si tocca», avrebbe detto Sparacio agli altri pentiti. Dalla Procura di Catania, comunque, si fa sapere che allo stato nessun provvedimento sarebbe stato preso nei confronti dei quattro giudici; anche se a Messina circolano voci incontrollate su magistrati indagati e su nuovi arresti. Fabio Albanese Un carabiniere: «Sentii il capoclan accordarsi con altri collaboratori su che cosa raccontare» Avrebbe poi chiesto di non accusare alcuni magistrati

Luoghi citati: Catania, Europa, Messina