D'Alema e Marini frenano l'offensiva del premier

D'Alema e Marini frenano l'offensiva del premier D'Alema e Marini frenano l'offensiva del premier ■ L «piano», anticipato con diI scorsi velati e mezze parole H nelle settimane scorse da Veltroni e Di Pietro, era stato spiegato più o meno così dagli strateghi di Palazzo Chigi: «Il premier allarga la sua sfera di influenza e si candida a guidare l'Ulivo anche sul tema delle riforme. La proposta Flick serve a stoppare la commissione d'inchiesta su Tangentopoli, che provocherebbe solo litigi e polemiche, proponendo agli ex de e agli ex socialisti uno strumento per dividere le responsabilità di chi ha preso i soldi per il partito da quelle di chi ha rubato per sé». Se queste erano le intenzioni, i risultati sono stati opposti. La cronaca del vertice di ieri a Palazzo Chigi è la dimostrazione lampante che la maggioranza su un argomento come la giustizia è divisa come non mai. Si parte con le «scuse» di Prodi per la fuga di notizie che ha fatto finire la bozza di Flick sui giornali e si arriva a D'Alema che parla di «autogol politico» e rammenta ai presenti che c'è bisogno del sì del Polo: «C'è un problema grosso come una casa: la prevista amnistia, per quanto limitata ai reati minori e che non coinvolge Tangentopoli, richiede per Costituzione la maggioranza parlamentare dei due terzi. Questo vale anche per qualsiasi indulto...». E ancora. Si va da Franco Marini che critica aspramente «il metodo dei blitz» e la «filosofia antipartito» contenuta nella proposta del Guardasigilli, fino a Lamberto Dini che insorge contro la liberalizzazione delle pene accessorie per i terroristi prevista nella bozza. Sono «flash» che testimoniano un fallimento. Un insuccesso che ha la sua fotografia nell'epilogo isterico della riunione: Walter Veltroni che declassa l'ambizioso progetto per uscire da Tangentopoli ad «un contributo positivo del governo alla discussione» e il portavoce dei verdi, Luigi Manconi, che gli domanda: «Perché sei così stizzito?». Alla fine il litigio tra i due rasenta la comicità con il vicepresidente che grida stizzito - ci si scusi il gioco di parole -: «Non sono stizzito! Non sono stizzito!». Veltroni va capito. A nessuno piace essere sbeffeggiato pubblicamente, tantomeno a un vicepremier, specie se i detrattori non sono esponenti dell'opposizione ma della maggioranza. Ieri le agenzie di stampa hanno fatto collezione di dichiarazioni che avevano tutta l'aria di essere un'archiviazione della proposta del governo: dal verde Mauro Paissan («Ascoltato Flick ora passiamo a problemi seri») al diessino Cesare Salvi («La proposta Flick non è una priorità»). Ma se Veltroni ha delle ragioni per irritarsi, non deve dimenticare che lui e Prodi sono vittime del loro stesso atteggiamento. Per mesi il premier e il suo «vice», infatti, hanno tagliato la strada ad ogni ipotesi di accordo con il Polo sulla giustizia. Si può dire che hanno quasi sabotato i tentativi di D'Alema per il timore che un'intesa con l'opposizio- ne avrebbe messo il governo alla berlina e posto le basi per una modifica del quadro politico. La stessa proposta Flick è nata, come si è visto, con l'intenzione di bloccare le aperture di D'Alema al Polo sulla commissione d'inchiesta su Tangentopoli. Insomma, si è trattato di una mossa d'interdizione che puntava a ricompattare la maggioranza e non certo ad aprire un dialogo con l'opposizione. «Basta leggere quella bozza - sostiene Marcello Pera - per capire che è stata fatta su misura su Berlusconi, per cacciarlo dalla politica. Del resto abbiamo due ministri come Dini e Napolitano che trattano con la Svizzera sulle quote per l'immigrazione per accelerare la trasmissione delle rogatorie che riguardano la Fininvest». Senza contare che nel loro di- segno Prodi, Veltroni e Flick hanno commesso anche un peccato di presunzione: quello di pensare che per avere successo su un tema delicato come la giustizia potesse bastare solo la benedizione di Di Pietro. Se mai ciò fosse stato vero in passato, adesso non lo è più. Per trovare un accordo sulla giustizia non bastano D'Alema e Berlusconi, o Prodi e Di Pietro, c'è bisogno del concorso di tutti dato che il Paese è diviso esattamente in due. Su un tema così delicato tutti possono esercitare un diritto di veto, tutte le specie e le sottospecie del giustizialismo e del garantismo. Si è creata, quindi, una situazione - e Prodi e Veltroni hanno concorso a crearla - per cui tutti possono distruggere un'intesa, ma nessuno è capace di costruirla. Ormai è un dato di fatto che non sfugge a personaggi che hanno assunto posizioni ben diverse in passato come il presidente della Camera, Luciano Violante, e lo stesso capo del pool di Milano, Francesco Saverio Borrelli. Tanto più che la posizione del governo è difficile da sostenere: come si fa a proporre un indulto, un'amnistia o un qualsiasi strumento equivalente che punti a chiudere sul piano giudiziario Tangentopoli e, nel contempo, a dire «no» ad una commissione d'inchiesta parlamentare che si propone di dare un giudizio definitivo sul fenomeno sul piano politico? Berlusconi ha buon gioco a dire: «Prodi e Di Pietro hanno paura della commissione, se la fanno addosso». Siamo tornati, quindi, al punto di partenza. Sulla giustizia continua ad esserci un Parlamento diviso e, soprattutto, una maggioranza divisa. E se nel voto del 23 settembre nell'aula di Montecitorio Dini e Boselli continueranno ad appoggiare la proposta della commissione su Tangentopoli per il governo sarà un vero smacco. Dalle conseguenze imprevedibili. Augusto Minzolini Il vertice è cominciato con le scuse del presidente per le fughe di noti2ie Il leader Pds: è un autogol E il leader Ppi rincara la dose «Non si risolvono con un blitz questioni così importanti» Veltroni-Manconi ai ferri corti A destra il leader del Pds Massimo D'Alema In alto il presidente del Consiglio Romano Prodi orso del summit di : «Queste non sono affrontare con i va detto il segretaon chiara allusione eva spiegato il suo ull'ipotesi di appliislazione premiale angentopoli: «Non II ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick renano mier ato esidente i2ie autogol II ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick

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