COME IL GAMBERO di Enzo Bettiza
COME IL GAMBERO COME IL GAMBERO passaggi di mano abbiamo visto il capo del Cremlino sbarazzarsi prima dell'uomo che incarnava ancora la spinta riformista, poi riconvergere per la seconda volta sul potente personaggio che rappresenta gli oligarchi delle banche e del gas, infine lo vediamo attestarsi sulla scelta dell'attuale ministro degli Esteri. L'uomo, noto per le recidive coperture che offre ai vari Saddam e Milosevic, non è certo dei più affidabili. Già capo del controspionaggio, Primakov è difatti il navigato interprete ed esecutore di una linea diplomatica notoriamente antioccidentale e antiamericana. Il nuovo primo ministro incaricato, il quale, per tutte queste ragioni, non appare sgradito ai comunisti che tengono in ostaggio la Duma, verrà certamente confermato ufficialmente dal voto favorevole della maggioranza parlamentare. Il voto marcherà un'evidente mezza sconfitta di Eltsin davanti ai voleri e poteri di una Duma che, dai comunisti di Ziuganov ai liberali di Yavlinskij, si è già per due volte tenacemen- te opposta a ratificare il ritorno di Cernomyrdin alla guida del governo. Dico mezza sconfitta, o mezza resa se voghamo, perché fra le tre candidature di ricambio che il capo dello Stato aveva a disposizione - il pericoloso generale Lebed governatore di Krasnojarsk, l'astuto maneggione Luzhkov sindaco di Mosca, l'ambiguo Primakov custode e garante della tradizione diplomatica imperiale - la decisione finale è caduta sul ministro degli Esteri da tempo presente e operante nei governi eltsiniani: una nomina che, dal punto di vista formale, emerge dunque dall'interno del gabinetto uscente e dall'establishment presidenziale. L'umiliazione sarebbe stata ben più grave per il semiparalizzato signore del Cremlino, se, sacrificando Cernomyrdin, egli avesse dovuto elevare all'altare della candidatura un rivale dichiarato come Lebed o un alleato esterno e ondivago come Luzhkov. Il sì dei comunisti, il ni degli oligarchi, il rialzo della Borsa, le prime rassicuranti dichiarazioni dello stesso Primakov, impegnatosi a continuare le riforme con l'aiuto dell'Europa piuttosto che dell'America, fanno sperare che la crisi stia lentamente uscendo dalla paralisi. Ritroverà ora, la Russia, un minimo di respiro al¬ l'interno e di credibilità all'esterno? Purtroppo la situazione resta, nonostante tutto, precaria; una fase transitoria incerta, equivoca, controllata e influenzata dai comunisti. Non si sa ancora a quali sbocchi la crisi, perdurando, potrà portare il grande malato del pianeta. Malgrado tutte le assicurazioni contrarie, malgrado i tentativi dell'influente casta oligarchica che cerca di proteggersi agganciando Primakov e i comunisti, pesa più che mai sulla Russia l'assenza d'autorità di un presidente semiesautorato, malandato in salute, contestato dall'alto e dal basso, dai marxisti e dai liberali. Perfino il capofila dei riformatori, l'ex primo ministro Gaidar, oggi dice: «Non abbiamo più a che fare con lo Eltsin dei primi Anni 90. Questa non è che la sua pallida imitazione». Insomma, Eltsin come lo spettro di se stesso, privo di consiglieri presentabili, senza un forte sostegno internazionale dopo l'inutile visita dell'azzoppato Clinton, per di più incalzato da uno sfacelo senza eguali nella riconversione dei Paesi dell'Est dal comunismo al mercato. Un indebitamento totale stimato a duecento miliardi di dollari, un rublo svalutato del sessanta per cento, una somma di salari arretrati che ormai raggiunge il ventotto per cento del prodotto lordo, i prezzi al consumo aumentati in sette anni del mille per cento, una banca centrale che spende dai due ai tre miliardi di dollari la settimana. E' questo panorama complessivo a rendere insicura anche la scelta di uno spregiudicato manovratore governativo come Primakov, detestato dagli americani e blandito dai comunisti indigeni che, per arginare la catastrofe, vorrebbero imporgli l'esecuzione di un programma illiberale. Anzi, più che programma, un manifesto tipicamente sovietico, basato sulla restaurazione dell'assistenzialismo totalitario, che era ed è all'origine del dissesto attuale. Gli scenari politici futuri appaiono, quindi, tutt'altro che rosei. Se Primakov, abbandonato dalle elargizioni a fondo perduto degli organismi finanziari internazionali, sospinto dai comunisti ad applicare alla crisi, aggravandola, vecchie panacee sovietiche, se anche lui dovesse fallire, allora potrebbe spalancarsi il peggiore degli scenari possibili: l'ascesa al potere assoluto dell'uomo forte, invocato da una parte della stessa disperata e impoverita popolazione russa. Sempre Gaidar sostiene, dalla sua preoccupata ottica liberale, che in tal caso «si potrebbe arrivare a una soluzio¬ ne più nazista che comunista». E risulta quanto mai preoccupante che la stessa analisi sia stata fatta, qualche giorno prima, dal docente americano Stephen Cohen, ascoltato consigliere della Casa Bianca per l'Europa dell'Est: «Quel che più allarma è l'esistenza di un numeroso esercito russo, munito di arsenale nucleare ma ridotto all'elemosina. Non c'è dubbio che la situazione è favorevole all'avvento dell'uomo forte, anche fascista. La Russia sembra correre purtroppo velocemente in quella direzione, e c'è ben poco che l'Occidente possa fare adesso per fermarla». Il dittatore fascistoide in pectore c'è già. E' il generale bonapartista Lebed, l'ammiratore di Pinochet. Con un occhio alla piazza e l'altro all'orologio, egli aspetta il suo momento trescando intanto con tutti: con i veterocomunisti di Ziuganov, gli ultranazionalisti di Zhirinovskij, gli oligarchi ispirati da Berezhovskij e, ovviamente, con gli stati maggiori dell'armata ridotta in miseria. Inutile dire che, se le lancette orarie della convulsa storia russa dovessero fermarsi sull'ora X di Lebed, sarebbe un vero disastro per la Russia, per l'Europa e per il mondo. Enzo Bettiza
Luoghi citati: America, Europa, Europa Dell'est, Mosca, Russia
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