Borrelli: l'amnistia? Non è un sacrilegio

Borrelli: l'amnistia? Non è un sacrilegio Il procuratore di Milano: è una valutazione politica che non spetta a me, ma al Parlamento Borrelli: l'amnistia? Non è un sacrilegio «Servono riforme vere» MILANO. «Amnistia? Non è un sacrilegio». Parola di Saverio Borrelli. Che aggiunge: «Un'amnistia però presuppone la presenza di un passaggio storico, di una svolta importante. Che può avvenire sia su un piano formale che su quello, ancor più importante, culturale. Questa però è una valutazione che attiene al Parlamento...». Poche considerazioni ma dirompenti: per il procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli parlare di amnistia non equivale più a paventare colpi di spugna. Improvvisamente è come se un tabù fosse caduto. Lo spunto ò fornito da un documento che la maggioranza starebbe preparando per propoire un'uscita da Tangentopoli. E che in realtà, almeno secondo le anticipazioni di un quotidiano, prevederebbe l'indulto e la restituzione del maltolto per i reati minori di corruzione. E' un po' la vecchia proposta del Guardasigilli Flick di «amnistia condizionata». Ma questa volta Borrelli, prendendo tutti di contropiede, va più in là e si spinge a parlare direttamente di amnistia. Mentre il resto del pool preferisce non rilasciare commenti, limitandosi ad aspettare di poter leggere integralmente la proposta dell'Ulivo, il procuratore capo prova ad affrontare la questione prescindendo dallo stesso documento della maggioranza, «che a dire il vero - spiega - non ho nemmeno letto nelle sue anticipazioni». Stesso distacco anche dalla cosiddetta «proposta Veltroni» che qualche settimana fa aveva incon¬ trato il plauso entusiasta di Gerardo D'Ambrosio: «Francamente non ricordo nemmeno i termini di questa proposta». Insomma, Borrelli vuole lanciare un segnale autonomo, ancor più importante se si pensa che l'ultimo provvedimento di amnistia venne preso nel 1989, quando venne varato il nuovo codice di procedura penale, quasi 10 anni fa. Quindi, dottor Borrelli, questa volta non avrebbe obiezioni nei confronti di un'amnistia? «Innanzitutto, amnistie e condoni appartengono alla sfera delle valutazioni politiche e dunque non mi competono. Non mi voglio pronunciare insomma sulle opportunità politiche di un'amnistia. Vorrei che fosse chiaro affinché non mi si accusi di voler prevaricare le prerogative del Parlamento, l'unico cui spetta prendere decisioni del genere». Detto questo? «Detto questo bisogna fare un discorso un po' più ampio. Quando pailo di amnistia non mi riferisco alla consuetudine delle amnistie che si sono avute fin'ora in Italia. Decise più che altro per svuotare le carceri e risolvere qualche problema pratico mettendo in generale una pietra sul passato. Questo è sempre stato un uso improprio dell'ammstia». Allora lei cosa intende quando parla di amnistia? «In generale quando vengono portate delle modifiche a un ordinamento, l'amnistia può essere uno strumento tecnico per semplificare il passaggio a un nuovo assetto nonnativo ed evitare così problemi di diritto intertemporale». Ma queste modifiche dovrebbero riguardare tutti i reati? «Diciamo che se venissero ridisegnati i reati contro la pubblica amministrazione, incisivamente in modo da modificarne la fisionomia, l'amnistia diventerebbe tecnicamente utile». E' un segnale importante da parte sua. Nemmeno nel mondo politico in questo momento si osa dire tanto. «Così sembra? Ma in fondo io ho sempre detto che le amnistie non si giustificano così, senza motivi validi, com'è successo finora». E come, allora? «Non si tratta di giustificazioni. Per decidere un'amnistia bisogna essere in presenza di svolte significative. Che possono essere di tipo formale, come appunto la modifica della nonna. Oppure, ancora più importante, su un piano storicoculturale, perché si avverte per esempio che il Paese è cambiato, che ha superato certi problemi, che ha modificato una certa cultura, un modo d'essere. Ma questa è una valutazione che, lo ripeto, non spetta a me. Ma al Parlamento». Fin qui, Borrelli. Ma nel mondo della magistratura le posizioni sono differenti. Spesso critiche con il documento dell'Ulivo e poco propense a recepire ipotesi di indulti o amnistie. «Depenalizzare il finanziamento illecito ai palliti significa fare qualcosa di più di un'amnistia», attacca da Roma, Edmondo Bruti Liberati, ex segretario dell'associazione Nazionale Magistrati. «Significa abolire i processi, annullare le pene inflitte, garantire per il futuro l'impunità, cioè stabilire la legge del farwest». Ed è critico Bruti Liberati, anche nei confronti di un'altra ipotesi del «promemoria» dell'Ulivo: quella di legare l'indulto per i reati di corru¬ zione alla restituzione del «maltolto»: «una scelta - dice - di pura demagogia». Infine, per quanto riguarda l'indulto, Bruti liberati osserva innanzitutto che «c'è un problema di equità di trattamento ed è difficile pensare a un provvedimento solo per la corruzione e non per altri reati avvertiti meno gravi dall'opinione pubblica». Per Paolo Giordano, vicepresidente dell'Anni, invece «l'indulto tra le proposte possibili e la meno negativa, perché estinguendo la pena almeno lascia la possibilità di un accertamento delle responsabilità». Paolo Colonnello ih SVOLTA «Diciamo anche che se venissero ridisegnati i reati contro la pubblica amministrazione il provvedimento diventerebbe tecnicamente utile» IL PASSATO «Non mi riferisco alla consuetudine delle amnistie che fino ad oggi abbiamo conosciuto Quelle erano decise più che altro per svuotare le carceri» Il procuratore della Repubblica di Milano Francesco Saverio Borrelli

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