Un mito conteso

Un mito conteso Fuori dal ghetto: non era di destra e neanche di sinistra Un mito conteso s ARA' pure disdicevole e trito, il gioco dell'incasellamento politico di Lucio Battisti. E appare troppo ingessata e cerimoniosa la liturgia dei telegrammi istituzionali spediti alla famiglia, la solennità con cui Massimo D'Alema e Gianfranco Fini rendono omaggio con espressioni pressoché identiche al poeta della loro (e nostra) generazione, la puntualità patetica con cui Pino Rauti ha ricordato la «bandiera dei giovani di destra». Sarà l'ennesima prova del modo tutto italiano di vivere e fantasticare un perverso e vorace «primato della politica» che cancella ogni dimensione «impolitica» dell'esistenza dei singoli e dei gruppi. Resta il fatto che l'agonia e la morte di Lucio Battisti hanno fatto riaffiorare non il grande rimosso ma il grande rimorso di una politica che sente di aver smarrito ogni legame con la sfera delle passioni fondamentali e che celebra, con la scomparsa del più testardamente e provocatoriamente impolitico dei cantautori italiani, il funerale delle «emozioni» cantate da Battisti ma espulse dal centro simbolico della sfera pubblica che si identifica con l'agire politico. Battisti è stato infatti per almeno due decenni la smentita vivente delle contrapposte mitologie giovanili di destra e di sinistra. Il giovanilismo di destra lo amava soprattutto perché Battisti non era amato dalla sinistra. A destra inventavano leggende metropolitane mai provate sulla presunta adesione di Battisti ai gruppi dell'estremismo nero e attribuivano inequivocabili Un significati ideologico-comportamentali a quel «planando sopra boschi di braccia tese» ideato chissà come e chissà perché dal duo Mogol-Battisti. Ma se c'era qualcosa che contraddiceva alla radice il «ghetto» in cui si erano confinati i giovani di destra inebriati dalla retorica della nobiltà della sconfitta e dell'isolamento di una minoranza orgogliosa di restare tale, questo era l'elemento profondamente popolare della musica di Lucio Battisti, la sua capacità di penetrare e sfondare nei gusti più diversi, negli universi psicologici e culturali più distanti tra loro, il senso di straordinaria «facilità» che promanava da costruzioni musicali tutt'altro che semplici e schematiche. Se Battisti era una loro bandiera, i giovani di destra che nel frattempo hanno messo qualche chilo in più e qualche capello in meno dovranno pur chiedersi come mai Battisti sapeva parlare a tutti mentre loro non facevano che reiterare le formule sacre della piccola conventicola rimasta tale. so Ma Battisti era anche la negazione del cantante impegnato cosi come veniva immaginato e stimato dalla retorica di sinistra. Lontano non solo sul piano dei contenuti e dei testi delle canzoni, ovviamente. Ma gli ultimi anni ci hanno abituato, non soltanto in Italia, alla figura del cantante che se pure non mette in musica temi di più immediata identificazione con la dimensione dell'«impegno» e della «denuncia sociale», se pure si impone come interprete dei sentimenti più privati e «impolitici», tuttavia non disdegna la logica del megashow allestito per lavorire questo o quel segmento dell'umanità ferita, la performance nobilitata da una purissima Causa, i fiocchetti esibiti con piglio imperioso per segnalare al mondo bontà assoluta e invulnerabile correttezza politica, la firma apposta in calce agli appelli sprizzanti ogni genere di più che commendevole solidarietà. Battisti aborriva tutto ciò. Non si teneva lontano soltanto dal brillio effimero dello star-system ma anche, meno «virtuosamente», dal palcoscenico delle Grandi Cause restando fuori dalle quali si rischiava e si rischia di apparire e essere squalificati e cinici. Perciò suona beffardo che la scomparsa di di un artista alieno dall'ostentazione delle Buone Cause venga oggi pianta da chi ha responsabilità politica come la perdita di un poeta che sapeva cantare le passioni più intense. Le chiamino, se vogliono, emozioni. Pierluigi Battista Fu la smentita vivente delle contrapposte ideologie

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