L'omaggio dei «classici» di Sandro Cappelletto
L'omaggio dei «classici» L'omaggio dei «classici» Accardo: grande espressività ROMA. Le parole più nette e partecipi le dice Paolo Arca, compositore e direttore artistico del Teatro La Scala: «Le sue canzoni sono state una parte fondamentale delia mia formazione musicale. Gli ascolti, poi le discussioni assieme agli amici, la scoperta della propria intimità di affetti che quelle parole provocavano. Da allora, e sono passati più di vent'anni, l'intensità del ricordo è rimasta sempre forte, presente». La scomparsa di Lucio Battisti non lascia indifferenti i musicisti e gli interpreti dell'altra musica, quella «classica»: si scopre un'attenzione non episodica, mai supponente. Salvatore Accardo sente in quei testi e in quelle armonie «una conoscenza che mi sembra vera della musica, anche di quella diversa dalla sua, altrimenti certi risultati espressivi non si raggiungono». Azio Corghi, il compositore che al Festival di Fes?..o ha appena reinventato «L'Italiana in Algeri» di Rossini chiamando a collaborare con lui Elio delle Storie Tese e inserendo in orchestra un gnippo rock, racconta il proprio personalissimo approccio a Battisti: «Adoravo Modugno, il suo modo di cantare "Il Pesce Spada", quel ricorso alle grida dialettali, arcaiche, non alle melodie facili delle canzonette. Poi ascolto Battisti, che invece propone una sua lingua borghese, con delle pretese letterarie, una linea narrativa sentimentale e crepuscolare che non mi interessa: preferivo la violenza de) rock, la tradizione popolare delle orchestrine di piazza, nelle quali suonavo da ra gazzo». Giocava anche una lontananza politica: le sem¬ pre perdenti peregrinazioni d'amore di Battisti e del suo paroliere Mogol giungono alle orecchie del giovane Corghi negli anni dell'impegno militante a sinistra. La frequentazione con «I giardini di marzo» e «Acqua azzurra, acqua chiara» è solo rinviata: «Lo devo a mia moglie. "Non capisci niente", mi dice e mi costringe ad ascoltare Battisti e Endrigc. Ora che non sono più un ragazzo, quei testi introversi, malinconici, mi appartengono più di allora. Un percorso a gambero». Matteo D'Amico, anche lui come Arca compositore della generazione dei quarantenni, ascolta la notizia della morte durante una pausa del lavoro ad una sua nuova partitura, che sarà diretta a dicembre da Giuseppe Sinopoli: «La musica di Battisti resterà, e sarà considerata quella di un vero artista, paragonabile ai Beatles per come ha saputo raccontare le ^quietudini dell'adolescenza. Possedeva una capacità di invenzione melodica sempre in rapporto col testo, che sembrava ritagliarsi perfettamente sul suo modo di cantare raccontando. Nonostante l'enorme successo, non ha smesso di cercare strade nuove, come dimostrano le musiche di "Don Giovanni". Una prerogativa che appartiene solo agli artisti più autentici». Un lavoro, il Don Giovanni, che incontra l'apprezzamento sorprendente anche di Claudio Sermone, fondatore dei Solisti Veneti, gruppo attento soprattutto al Settecento. Sandro Cappelletto
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