CARTIER BRESSON di Marco Vallora

CARTIER BRESSON CARTIER BRESSON Fi U Simone de Beauvoir, un giorno, preoccupata dalla seduta di posa che avrebbe dovuto «catturarla», a chiederglielo sfrontatamente: quanto tempo ci vuole per fare un buon ritratto? E CartierBresson, che è un genio anche della parola, non si perdette d'animo: «Un po' più che dal dentista, un po' meno che dallo psicoanalista». C'è un po' tutto della sua poetica, in questa risposta, oltre a quell'acido d'autoironia, che lo ha sempre contraddistinto. Fotografare: una piccola tortura, come fa il sibilo di un trapano. Ma anche uno spicciolo di speranza: nella terapia. Nel miracolo della pellicola che s'imprime di sorpresa. «Lo scatto - ha confidato al collega Scianna - è come una puntura d'insetto: bisogna raggiungere il soggetto tra la pelle e la camicia, in un momento di silenzio interiore, in modo che quasi non senta, che la puntura faccia il meno male possibile». Annullarsi, come per un satori immateriale. «E' la foto che vi fa, non siete voi a farla». Una foto non si scatta, né si ruba astutamente (anche se lui aveva tinto di nero la sua Leica perché non luccicasse): deve misteriosamente accadere. E nel longevo amico di Breton e Artaud, è rimasta sempre, sottesa e presente, questa radice surrealista. La foto non è un mestiere dell'occhio, è un'arcana rivelazione di verità, «di un indefinibile mistero». Come garantisce l'amico-poeta visionario de Mandiargues, parlando appunto dei ritratti di questo inarrivabile artista che ha «cristallizzato» nella fotografia «un uomo ardente, impulsivo, energico e geniale», che in realtà avrebbe voluto divenire pittore: «Sono semplicemente un tipo nervoso a cui piace la pittura». «Esaltati, magnificati i suoi soggetti mi sembrano fissati per un tempo incredibilmente lungo, se non per l'eternità, da una fucilata». Ma non sono vittime, i fotografati di Bresson (e non si tratta solo di personalità importanti: lui ha davvero fotografato di tutto, dai "clochard", ai prediletti bambini, ai vinti, tranne i politici «perché hanno tutti la faccia eguale nel loro inesplicabile rapporto col potere»): «La mia grande passione è il "tiro fotografico", che è un disegno accelerato, fatto di intuizione e di riconoscimento di un ordine plastico, frutto della mia frequentazione dei musei e delle gallerie di pittura, della lettura e della curiosità per il mondo». Curiosità e gioia: un incruento «tiro all'arco zen», come è riuscito a spiegarci Jean-Pierre Montier, nella sua dotta tesi divenuta splendido volume Leonardo: perché c'è qualcosa del Tao, di buddista in questo abbandono alla realtà che si fa prodigio fotografico. Anche se tutto è calcolato, esercizio impalpabile: «Fotografare è porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi, il cuore». Non si può essere che grati a Cartier-Bresson, ha già spiegato tutto lui: «La macchina fotografica è per me un blocco di schizzi, lo strumento dell'intuito e della spontaneità, il detentore dell'attimo, che, in termini visivi, interroga e decide nello stesso tempo. E' attraverso un'economia dei mezzi e soprattutto l'abnegazione di sé che si raggiunge la semplicità espressiva». Una concentrazione animale, come ha intuito il poeta Bonnefoy: «L'accortezza di seguire un intuito, di spiccare un balzo, come una belva, su ciò che passa come un lampo». E se no, come avremmo quelle immagini miracolate, che solo un prestigiatore dell'occhio poteva sottrarre al fluire insensato del tempo? Ma appunto, il tempo. «Semplicità che sgorga limpida nell'aneddoto dissolto, dall'eternità riscoperta nell'immagine fuggevole». Spesso il virtuosismo involontario delle sue istantanee ci rivela proprio la melanconia del Tempo che si spreca, che non ritroveremo più, come appunto nelle «Images à la sauvette», secondo il titolo modestamente intelligente e illuminante, che volle dare al numero unico di «Verve», copertina di Matisse: immagini colte fulmineamente, di sfuggita. Lo ha sottolineato, parlando del mistero fuggitivo della musica, così simile alla fotografia, il filosofo Jankelevitch: «L'uomo tiene appassionatamente, infinitamente, a quanto non dura che un attimo e non accade che una volta, come se il solo fervore della sua dedizione potesse trattenere ed eternare la divina inconsistenza». Forse solo così si può spiegare il genio infrangibile, inesplicabile di Cartier-Bresson. Marco Vallora CARTIER BRESSON Una splendida immagine scattata da Carlicr Bresson nel 1951 a Sranno in Abruzzo

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